Il classismo nella “Scuola in chiaro”. Il commento di un’insegnante

di Alessandra Petrini, insegnante

 

Che ormai si sia di fronte a una società che frappone sempre più ostacoli “di ordine economico e sociale” per la realizzazione di un’uguaglianza anche solo formale è evidente. L’accettazione di leggi svilenti e, oso, schiaviste nel mercato del lavoro, di salari ridicoli, ha ricreato o consolidato una stratificazione sociale classista che permette solo a chi non ha nessun “ostacolo economico e sociale” di realizzarsi e compiere un processo di formazione completo.

La scuola è il primo esperimento di società e democrazia a cui i cittadini partecipano nella vita ed è da sempre un riflesso e un microcosmo della società in cui si innesta. Negli ultimi anni la scuola italiana, quella che per prima favorì il processo di inclusione e abolì le classi differenziali  si trova a vivere una dicotomia profonda: da un lato piani didattici che volgono a progetti di inclusione; corsi specialistici per il riconoscimento di DSA, per l’inserimento dei BES, per la didattica dell’italiano L2 come affiancamento a quella dell’italiano tradizionale. Dall’altro una platea di studiosi accademici che rimpiange la scuola delle conoscenze, quella degli anni ’50, di alto livello linguistico perché tale era quello in ingresso dei suoi allievi: quelli delle classi sociali più alte, quelli che a casa avevano già i libri e in testa un vocabolario ricco.

A supervisionare i due mondi un ministero che ha fatto dei finanziatori privati la vera differenza di condizione delle scuole pubbliche. E alcune scuole italiane sembrano aver seguito i monitoraggi di Cambridge Analytica, l’agenzia informatica utilizzata dai partiti per monitorare l’emotivita’ sociale degli elettori: nessun intoppo alla purezza dell’ apprendimento fa della scuola una punta di diamante del MIUR. Il rapporto di autovalutazione presentato da alcuni istituti su LA SCUOLA IN CHIARO conferma uno specchio sociale: quello che brama un ritorno alle classi, forse alle caste; quello che vede favorito il processo di apprendimento solo se gli unici ostacoli rimossi sono quelli di quegli studenti che della scuola non avrebbero neppure bisogno. Scegliere come criterio di qualità la rimozione delle problematicità sociali e delle sfumature umane che la società presenta probabilmente creerà dei cittadini eruditi, ma totalmente incapaci di vivere e analizzare il Reale nella sua complessità. Nonché li priva di un confronto fondamentale, che non è ( o non è soltanto) quello dello “scontro sociale”, ma quello di una visione della realtà attraverso un punto di vista altro.

Il compito della scuola è quello di realizzare l’uguaglianza non solo formale decantata dall’articolo 3 della Costituzione, a braccetto con l’articolo 34, ma sostanziale è la scuola che funziona davvero è quella che rende tutti i suoi alunni – italiani originali, normofelici, stranieri, rom, Bes, DSA, H- in grado di avere conoscenze, abilità e competenze tali da trovare un posto nella società che non corrisponda a una poetica immanente dell’ ostrica. Mi vengono in mente alcune delle scuole della città in cui insegno, una su tutte la Melissa Bassi dell’ istituito onnicomprensivo di via dell’ archeologia, Tor Bella Monaca (Roma), dove ho visto insegnanti fare i direttori d’ orchestra. Risuona don Milani, di recente- come dicotomia vuole- rilanciato sul piano della didattica dai convegni per gli insegnanti e bacchettato dai professoroni per un’apertura poco qualitativa, a loro avviso: ” Si metta nei panni dei miei genitori. Lei non permetterebbe che suo figlio restasse tagliato fuori. Dunque ci dovete accogliere. Ma non come cittadini di seconda buono solo per manovale”.

 

Si legga anche l’articolo di Corrado Zunino (Repubblica, 8.2.2018)

“Qui niente poveri né disabili”. Le pubblicità classiste dei licei

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