Per il reddito minimo, contro il fascismo

Huffington Post – di Tomaso Montanari – 09/02/2018

“Ma tu cosa voti?”. Non passa giorno senza che io – come tutti – mi senta fare questa domanda. E, prometto, proverò a rispondere anche in pubblico, prima del 4 marzo. Ma la risposta che mi viene ogni volta spontanea è brutale: “Non lo so. Ma so che la politica non abita più lì. In quelle urne, in questi parlamenti”.

Mi ha molto colpito che un politologo notevole e un deputato uscente come Carlo Galli abbia detto con grande forza che ogni possibile cambiamento non potrà venire da dentro (da dentro il Parlamento, da un ceto politico insalvabile), ma da fuori.

Da fuori: da quella parte di cittadinanza attiva che pratica e costruisce la democrazia di ogni giorno. È lì che nascono idee, progetti, visioni capaci d’invertire davvero la rotta e di rovesciare il tavolo delle diseguaglianze: tutte cose che, per diventare realtà, hanno bisogno (inevitabile paradosso che schiaccia ogni prospettiva di cambiamento) del voto di quell’inerte Parlamento.

È per questo che – insieme a Gaetano Azzariti, Giuseppe Bronzini, Martina Carpani, Luigi Ciotti e Giuseppe De Marzo – parteciperò giovedì prossimo alla conferenza stampa che presenta la proposta del Reddito minimo garantito avanzata dalla Rete dei Numeri Pari, uno “strumento contro diseguaglianze, mafie e povertà”.

Economisti, costituzionalisti, giuslavoristi, magistrati e sociologi hanno ormai spiegato perché è vitale introdurre anche in Italia questo strumento, già così largamente presente in Europa. Io vorrei aggiungere ancora un argomento, che ha che fare con la conoscenza, la cultura e la democrazia.

Oggi un italiano su tre è a rischio di povertà, quasi uno su due è analfabeta funzionale, uno su due non vota: esiste o no un nesso tra questi numeri? Con ogni evidenza il nesso esiste, ed è anzi determinante: il rischio concreto di povertà impedisce ogni formazione culturale, e dunque ogni partecipazione alla vita politica, cioè alla costruzione della polis.

A uscirne profondamente menomata, anzi moribonda, è la stessa democrazia italiana: che si avvia a diventare oligarchica non solo per la degenerazione dell’élite economica e politica, ma anche per il drastico restringimento della cittadinanza di fatto.

Il motivo per cui i costituenti inseriscono tra i principi fondamentali su cui poggia la Repubblica lo “sviluppo della cultura” è la convinzione che senza una “leva dell’intelligenza” sarebbe stata a rischio la tenuta democratica del paese. Quella che ho appena citato è un’espressione usata da Concetto Marchesi nella relazione con cui presenta all’Assemblea costituente il primo embrione di ciò che diventerà poi l’articolo 9: “E in verità non occorre chiamarsi socialisti o comunisti per riconoscere che i tre quarti della popolazione sono sottratti alla prova dell’attività intellettuale. La leva in massa degli eserciti è stata fatta da secoli, la leva dell’intelligenza mai. E importa all’Italia che questi milioni d’Italiani entrino nel circolo della vita nazionale” (1947).

Dopo settant’anni abbiamo conquistato – forse – solo un altro quarto del paese a un’istruzione e a una vita culturale che permettano l’esercizio di quel minimo senso critico individuale che consente l’effettivo esercizio della sovranità popolare solennemente affermata dall’articolo 1.

Il reddito minimo non è dunque solo uno “strumento contro diseguaglianze, mafie e povertà”, ma è anche, direttamente, uno strumento per la costruzione di democrazia attraverso lo “sviluppo della cultura”. Non puoi essere un cittadino critico e sovrano se lotti per la sopravvivenza, ostaggio di un mercato selvaggio che, attraverso il ricatto della precarietà, t’impone il silenzio.

Pensiamolo come una specie di grande riscatto collettivo: potremmo riscattare dalla schiavitù economica, culturale, civile milioni di italiani. Riscattare dei sudditi, trasformandoli in sovrani.

In giorni in cui lo squadrismo fascista diventa terrorismo per le strade delle nostre città e Casa Pound entra a Montecitorio, è tempo di comprendere che la democrazia si sostiene e si garantisce solo includendovi milioni d’italiani che, a oggi, non hanno davvero alcun motivo per amarla e difenderla.

Chiamiamolo reddito di democrazia. O reddito di sovranità. Chiamiamolo come volete: ma facciamolo.

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