Restituire alla collettività i beni confiscati alle mafie: parla la Rete dei Numeri Pari

I beni confiscati sono una risorsa preziosa, essenziale, per il contrasto alle organizzazioni di stampo mafioso. La legge 109/96, approvata grazie alla spinta di un milione di firme raccolte da Libera nel 1996, consente da più di vent’anni di utilizzare socialmente i beni sottratti a soggetti mafiosi. Una legge importante, che interviene sui patrimoni non dei singoli soggetti mafiosi, ma delle organizzazioni nel loro complesso, arrivando a colpire il potere economico, oggi sempre più pericoloso per lo sviluppo dei nostri territori.
Oggi Roma è chiamata ad affrontare un passaggio importante nella gestione di questo patrimonio: siamo alla vigilia dell’approvazione del regolamento che richiede regole chiare e trasparenti per garantire il corretto utilizzo di questo patrimonio.
Un unico obiettivo deve essere alla base del regolamento: l’uso sociale per rispettare la destinazione voluta dalla normativa nazionale e, soprattutto, dall’impegno antimafia di persone, associazioni, movimenti che per questo hanno lottato. Per questo bisogna assicurare trasparenza nelle assegnazioni, verifiche, monitoraggio.  Le mafie hanno investito e continuano a fare affari a Roma e il prezioso lavoro della magistratura consente oggi di ri-immettere nel nostro tessuto sociale un patrimonio che, giorno dopo giorno, sta diventando sempre più grande.
Il Regolamento che arriverà presto all’approvazione da parte del Consiglio comunale ha al suo interno elementi di forte criticità, lacune e mancanze gravi che rischiano di compromettere il corretto utilizzo di questi beni del quale la collettività potrebbe beneficiare.
In primis non ha visto alcun coinvolgimento delle realtà sociali, che hanno appreso il testo del Regolamento solo al momento della sua approvazione in Commissione. La partecipazione della cittadinanza è, nel caso dell’utilizzo dei beni confiscati, un tema di assoluta importanza per la sua capacità di generare coinvolgimento positivo attorno a un bene di provenienza illecita e per generare quell’impatto culturale e simbolico fondamentale per aiutare la crescita di una società consapevole, che scelga quotidianamente da che parte stare nella lotta alle mafie.
Il percorso delineato dal Regolamento è “tutto istituzionale” e non lascia alcuno spazio di intervento e di proposta da parte dei cittadini e delle associazioni. Per questo, le associazioni e i sindacati che fanno parte della Rete dei Numeri Pari, chiedono a gran voce l’istituzione di una “consulta cittadina” che accompagni l’amministrazione nel pieno utilizzo pubblico e sociale degli immobili in questione.
La finalità dell’utilizzo dei beni sottratti alle mafie deve essere sociale. Un utilizzo lucrativo di questi beni, che non abbia ricadute in termini sociali, culturali e di partecipazione rappresenterebbe una sconfitta e un tradimento al senso profondo della legge e alla memoria di tutte quelle persone che hanno dato la vita per questo. Le realtà sociali della rete vogliono evitare che il Comune possa anche solo pensare che questi immobili possano essere “valorizzati” a scopo di lucro.
Un’incredibile mancanza del regolamento redatto dalle Commissioni Patrimonio e  Politiche Sociali, sta nell’articolo 10. Questo non prevede la possibilità di utilizzare i beni per accogliere rifugiati politici/migranti ed è assente qualsiasi riferimento all’agricoltura sociale (come da legge 141/2015).
L’articolo 11.4 solleva alcune inquietudini e richiede diverse modifiche. Al suo interno viene esplicitata la volontà di escludere tutte le realtà che hanno occupato beni immobili di Roma Capitale, o hanno in corso morosità: un utilizzo di questo comma in maniera integralista potrebbe portare all’esclusione dalla assegnazione importanti esperienze sociali, culturali e abitative.
Allo stesso modo è importante inserire all’interno dell’articolo 12.2, non solo le finalità sociali, ma anche culturali e artistiche, come riportato dall’art 2.
Mancano, infine, nel Regolamento l’indicazione di tempi certi per l’attuazione degli adempimenti finalizzati a l’uso degli immobili confiscati: questo rafforza la necessità che al Regolamento sia affiancata una Consulta che veda una partecipazione vasta e che vi siano successivi atti che definiscano precisamente le modalità di utilizzo di questo patrimonio immobiliare.
Il regolamento non riporta inoltre riferimenti all’iter di utilizzo – anche sociale – dei beni in fase di sequestro: una possibilità che consentirebbe di destinare fin dal primo momento dei beni a quella finalità sociale immaginata dal legislatore, passaggio reso possibile anche dal protocollo, di cui il comune è firmatario con il Tribunale di Roma.
Riguardo agli obblighi di trasparenza (d. lgs. 22\2013) che disciplina la pubblicazione dei dati da parte della Pubblica Amministrazione, auspichiamo che il Comune di Roma attraverso i suoi portali, e in collaborazione con le altre piattaforme di dati sui beni confiscati, possa effettivamente e pienamente svolgere una funzione di informazione sull’utilizzo dei beni confiscati, consentendo l’utilizzo di open data e di massima pubblicità.
Infine, articolo 13.3, il fondo dovrà servire alla ristrutturazione/mantenimento di altri beni confiscati.

Le mafie hanno investito e continuano a fare affari a Roma e il prezioso lavoro della magistratura consente oggi di ri-immettere nel nostro tessuto sociale questi beni.  Per le realtà sociali della Rete dei Numeri Pari questo rappresenta un’occasione da non perdere, non solo per intervenire sui bisogni sociali di una città sempre più fragile e diseguale, ma per generare quel processo di partecipazione, condivisione e riscatto che è l’essenza di una norma antimafia e chiede a gran voce che la giunta ascolti e che il testo possa arrivare in aula con le modifiche e le integrazioni proposte.

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