Povertà, 25 miliardi all’anno vanno nelle tasche sbagliate

di Milena Gabanelli e Rita Querzè

Cinque milioni di poveri in Italia non si possono ignorare, ed è giusto dare loro un assegno di sussistenza. Ma i soldi vanno spesi bene perché a pagare l’Irpef sono sempre i soliti 41 milioni di italiani. E anche tra loro non tutti se la passano benissimo.

Troppe risorse nelle tasche sbagliate

Ogni anno l’Inps spende 53 miliardi per aiutare chi sta peggio. In gran parte vanno in assegni sociali e integrazioni al minimo. In teoria può fare domanda solo chi è sotto a un certo reddito (per la pensione sociale non bisogna superare i 5.954 euro l’anno, per esempio). Nella realtà oltre un terzo di questi soldi (ovvero 18,5 miliardi) va alle famiglie con redditi superiori alla mediaLo stesso meccanismo vale per i 18 miliardi di spesa generale per la lotta alla povertà. Oltre un terzo – 6,5 miliardi – va al 50% di italiani con redditi superiori alla media. La legge che ha istituito il Reddito di inclusione (Rei) prevedeva un riordino della spesa sociale. Non è mai stato fatto. I cittadini quando vanno a votare non premiano chi gli toglie qualcosa. E i partiti lo sanno.

Incroci a monte per scoprire gli Isee-truffa

Spesso la spesa sociale finisce a chi non ne avrebbe diritto perché è facile truccare le carte. Lo strumento che valuta come se la sta passando una famiglia è l’Isee. L’ultima riforma l’ha migliorato, ma secondo le verifiche della Guardia di Finanza, il 60% degli Isee è basato su autodichiarazioni false. Il tasso di irregolarità è del 90% per le esenzioni dai ticket sui farmaci e del 39% per le richieste di prestazioni sociali nei primi mesi del 2018. Più che aumentare i controlli a valle bisogna incrociare sempre a monte i dati delle proprietà immobiliari, dei redditi e delle giacenze medie sui conti correnti. Ancor meglio inserire i dati delle amministrazioni in un Isee già precompilato: doveva partire nel 2018, ma ancora non si è visto.

Troppi bonus: serve il casellario delle prestazioni

Prendiamo una famiglia povera della periferia di Milano a cui nasce un figlio. Può sicuramente chiedere il bonus bebè appena rifinanziato nell’ultima legge di Bilancio. Ma ci sono anche il bonus alla nascita da 800 euro – che incassano tutti, non solo i poveri – oltre al bonus nazionale per la frequenza al nido. Poi c’è la bebè card del Comune e il bonus nido della regione Lombardia. In pratica la mano destra non sa cosa fa la sinistra. Sarebbe il caso di coordinare le varie misure. L’Inps avrebbe dovuto varare il «casellario», un fascicolo con le prestazioni sociali percepite da ciascun cittadino. Il progetto non è mai decollato. Logico sarebbe che, in base all’Isee, una serie di misure scattassero in automatico, in funzione della situazione di ciascuno.

Assegni proporzionati al costo della vita nei territori

Se si guarda l’incidenza sul totale della popolazione, il record del disagio è al Sud con il 10,3% degli abitanti in povertà assoluta (contro il 5,1% del Centro e il 5,4% del Nord). Ma il 52,5% delle famiglie povere abita comunque al Centro-Nord. L’Istat ha calcolato che nelle periferia di una grande città del Nord, un single per la propria sussistenza ha bisogno di 780 euro al mese. Da qui il reddito di cittadinanza. In un piccolo comune del centro, però, bastano 707 euro, che scendono a 560 euro nel comune del Sud. Avrebbe senso dunque un assegno parametrato al costo della vita del luogo in cui vive il richiedente.

Più servizi (e non solo per l’impiego)

Anpal servizi stima che il 70% degli aspiranti al reddito non sia subito in grado di lavorare, perché ha minori o disabili a carico, problemi di salute e di dipendenze. Sono 3 milioni e mezzo di persone che dovranno stipulare un «patto per l’inclusione sociale» con i Comuni. Nel 2016 la spesa dei Comuni per i servizi sociali ammontava a 7 miliardi e 56 milioni di euro: quelli ricchi offrono servizi sociali ai loro cittadini, gli altri no anche se sul loro territorio si trova la maggior concentrazione di poveri. In Calabria, dove ci si attende il maggior numero di richieste di Reddito di Cittadinanza, la spesa procapite per i servizi sociali è di 22 euro, contro i 517 euro della Provincia Autonoma di Bolzano. Il 15% dei fondi del Rei doveva servire a potenziare i servizi sociali. Per il 2019 il nuovo governo mobilita 347 milioni, che diventeranno 587 nel 2020 e 615 dal 2021 in poi. Risorse insufficienti, mentre non è ancora chiaro con quali criteri saranno ripartite.

Lavori socialmente utili (flop dietro l’angolo)

Chi prende il reddito di cittadinanza dovrebbe fare 8 ore alla settimana di lavoro socialmente utile. Serve quindi personale che organizzi il lavori da fare. I lavoratori vanno poi formati e assicurati. Ad oggi esistono solo pochissime sperimentazioni e la maggior parte dei Comuni non è attrezzata.

Serve più tempo per potenziare i controlli sul lavoro nero e assumere navigator stabili

Le Regioni devono assumere 4.000 navigator per potenziare i propri centri per l’impiego. Vuol dire che si dovranno fare 20 bandi pubblici. Dall’emissione del bando all’assunzione ci vuole mediamente un anno (sei mesi alle Regioni più virtuose). Per aggirare l’ostacolo e partire il primo aprile con il Rdc, il governo intende assumere subito 4.000 navigator con contratti a termine tramite Anpal servizi. Successivamente i 4.000 precari (con il compito di educare i disoccupati a trovare lavoro) dovrebbero partecipare ai concorsi delle Regioni per passare a tempo indeterminato. Poi c’è il lavoro nero: nemico numero uno del reddito di cittadinanza. È vero che ci sono sgravi contributivi per chi assume un povero, ma nessuna azienda assume a tempo indeterminato se non ne ha bisogno. L’economia sta frenando, e in gran parte del Paese i centri per l’impiego non riusciranno a offrire tre occasioni di lavoro in 18 mesi. Che fare? Non escludere dagli sgravi i contratti a termine. Poi potenziare i controlli sui settori e nei territori a maggiore concentrazione di nero. In particolare agricoltura, dove la percentuale arriva al 16,4%, servizi alle persone (22,8%), costruzioni (10,8%), commercio e logistica (7,9%). La legge di Bilancio prevede l’arrivo di 930 nuovi ispettori del lavoro in tre anni, di cui 300 nel 2019. Ma è improbabile che siano operativi prima di fine anno.

Reddito agli stranieri residenti da 10 anni

Il governo stima che saranno 250.000 ad averne diritto. Le stime di fondazione Ismu parlano di 300.000 (su oltre 5 milioni di immigrati, circa un milione è residente da 10 anni, e il 30% è in stato di povertà). Il Comune di Milano ne stima 700 mila. Le richieste verranno presentate nei Comuni, che però non sono in grado di verificare «dove» hanno accumulato i 10 anni di residenza perché l’ anagrafe nazionale in capo a Sogei non è mai stata completata.In sostanza, se non si fa in fretta a completare i registri nazionali e a riorganizzare un sistema iniquo, troppi soldi continueranno a finire nelle tasche sbagliate.13 gennaio 2019 | 22:51© RIPRODUZIONE RISERVATA

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