Don Ciotti: «Mussolini scavò nel rancore, chi governa oggi sta scavando nelle paure»

di Daniele Nalbone

ROMA – Dal pomeriggio oltre diecimila persone hanno attraversato Roma contro gli “sgomberi urgenti” del Viminale. Nel mirino, 22 occupazioni, spazi sociali o abitativi. Per il Ministero dell’Interno nessuna differenza. Partiamo da qui, dal corteo “Roma non si chiude“, perché è da qui che don Luigi Ciotti ha iniziato il suo intervento alla festa “Roma non si ferma”, organizzata da “Sei 1 di noi” al parco del Caravaggio.

«Niente sgomberi» ha ripetuto il “prete di strada”, perché «è inaccettabile anche solo immaginare che altre centinaia di persone possano finire per strada».

Perché, «mai come oggi», anche le occupazioni fanno parte di quella che don Ciotti ha definito «geografia della speranza», riprendendo gli interventi moderati dalla co-direttrice de il Paese Sera, Maria Panariello, di Giuseppe De Marzo (Rete Numeri Pari), Michele Azzola (Cgil Roma e Lazio), Margherita Grazioli (movimenti per il diritto all’abitare), Francesca Koch (Casa Internazionale delle Donne) ed Emilia Fragale (coordinamento docenti contro mafie, povertà e razzismo). Al centro, le pratiche di «mutualismo e resistenza» contro «la barbarie.

«Ho la fortuna, e la fatica, di continuare a vivere da 54 anni con i poveri, con gli ultimi», sottolinea don Ciotti. «Per me la strada continua a essere il grande punto di riferimento e di incontro». Un discorso che non vuole essere «il monologo dell’io» ma «la costruzione del noi».

«Di fronte a quello che sta avvenendo, non si può stare zitti e, soprattutto, inerti. Dobbiamo muoverci di più, tutti» perché la prima riforma da fare in questo Paese «è quella delle nostre coscienze». L’invito a domandarci: «Dove eravamo? Come abbiamo fatto a permettere tutto questo?».

Capire quel “tutto questo” è la chiave per contrastare la «dilagante disumanità». Stiamo andando indietro. Non avanti. Nel contrasto alla mafia e nella rivendicazione di diritti. Nella costruzione del vivere sociale. Nella solidarietà. «Se le paure sono aumentate, è perché non abbiamo saputo interpretare i cambiamenti in atto e inventarci nuove forme di lotta e di impegno».

Don Ciotti chiama a un «esame di coscienza collettivo». Perché «è questa la strada per andare oltre la sola protesta contro l’aggressione dei diritti. Dobbiamo chiederci cosa abbiamo fatto per difenderli». La speranza del domani «poggia sulla resistenza dell’oggi». Significa «fare».

Il nostro «non è un Paese libero. È un Paese che ha paura, e quando la classe politica soffia sulle paure, vincono le demagogie». Come Mussolini, che marciò su Roma «scavando nel rancore degli italiani» c’è chi, oggi, «governa scavando nelle paure».

«La lotta che stiamo portando avanti è per la vita» ribadisce Don Ciotti. «Una lotta per rimarcare con forza che le leggi devono tutelare i diritti, non il potere e il consenso di qualcuno». Il simbolo sono i provvedimenti contro i migranti, «una vergogna contro la nostra Costituzione e contro la dichiarazione universale dei diritti umani».

Un’immagine. E un dato. Dopo l’abbattimento del muro di Berlino si parlava di «alba di un mondo nuovo». Allora i muri nel mondo erano 16. «Oggi sono 70, alcuni di migliaia di chilometri, che interessano 67 Stati». E «sono ben 16 le recinzioni che attraversano l’Europa: 14 di queste sono databili a partire dal 2013». Sono «confini che attraversano una società che si sta sfrantumando in comunità chiuse, in tanti piccoli egoismi. Frontiere, però, solo per le persone. Non per le merci. Contro l’umanità, non contro il profitto». È «l’economia che toglie speranza e dignità».

Don Ciotti: «Mussolini scavò nel rancore, chi governa oggi sta scavando nelle paure»

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