Vita di Caravaggio

Storie. 400 persone, 71 minori, due palazzi occupati a Roma. Passata l’era delle ruspe resta il rischio sgombero. Ma con un lavoro precario non si trova casa. Hanno chiamato un giornalista e un ex ministro per raccontarlo. E raccontarsi

«Entrate, è un incontro pubblico». Il gazebo all’ingresso è stato montato nel fuoco dell’estate, serviva a dare un po’ di ombra a chi era in turno per la vigilanza ma anche ai giornalisti che si preparavano alla cronaca dello sgombero. Roma est, via Caravaggio 107, quartiere Tormarancia, a due passi da Circo Massimo e Caracalla. Anna Sabatini, – abruzzese, quarant’anni al nord, poi a Roma, 69 anni, aveva un bar, poi una bottega di biancheria e poi di artigianato artistico – incoraggia i curiosi ad entrare. È eleganza naturale, la sua, nella maglietta con la Medusa di Caravaggio.

LE DUE PALAZZINE del «Caravaggio» sono state sede di uffici e assessorati. Dal 2013 sono occupate. 380 persone, 140 famiglie, 71 minori, tanti bambini, madri che si danno una mano per portarli a scuola e dar loro una vita normale. Quasi tutti gli adulti hanno un lavoro o un lavoretto. In molti hanno la residenza nominale in municipio. Si sono scelti la Medusa come logo bello – e impossibile? – come il loro sogno: una casa. Ma cos’è una casa? «Un tetto sulla testa», risponde Anna. Un tetto un letto una doccia uno stendipanni. Farsi una vita, quando un lavoro precario non ti consente di pagare un affitto – detta bene: non ti dà il diritto all’abitare, che non dovrebbe costare soldi.

QUEST’ESTATE IL CARAVAGGIO era in cima alla lista della prefettura degli edifici da sgomberare. Poi, saltato il governo delle ruspe, la speranza di avere il tempo per trovare le soluzioni per le famiglie. E invece ora circola voce che la lista è rimasta. Con il Caravaggio. La proprietaria Angiolina Armellini, palazzinara figlia d’arte, nonostante le traversie giudiziarie chiede i danni all’erario per il mancato sgombero. Ma in forza di legge non si possono sgomberare le famiglie senza offrire un’alternativa. Fin qui le vaghe proposte sono giudicate fregature. Centri di accoglienza per migranti o bonus del Comune: «Ma i proprietari non ci affittano le case, hanno paura che a un certo punto i bonus non saranno più erogati», spiega Anna. Martedì 8 ottobre i movimenti per la casa si sono dati appuntamento alla regione Lazio. Chiedono al presidente Zingaretti di aiutare lo stop agli sgomberi e agli sfratti, e politiche abitative in grado di recuperare «l’immenso patrimonio vuoto inutilizzato». «Cambia il governo, ma per noi la barra rimane sempre la stessa: garantire i diritti», spiega il presidente del municipio VIII, Amedeo Ciaccheri. «Serve una nuova politica attiva per dare casa a chi non la ha. Non ci sono più scusanti: si trovino le risorse per superare l’emergenza».

TORNIAMO ALL’ENTRATA. Hanno invitato un giornalista, Marco Damilano, direttore dell’Espresso, e un politico particolare, Fabrizio Barca, già ministro, oggi studioso del Forum Disuguaglianze e diversità. L’incontro prepara quello del 17 ottobre a Roma, nella giornata mondiale contro la povertà. Il Caravaggio ci sarà. Ma intanto vuole conoscere e farsi conoscere. «Non siamo come ci descrivono» spiega Anna, «siamo una comunità meticcia e solidale, qui c’è un mondo in cui tutti rispettano le regole. Nonostante l’ansia da sgombero, riusciamo a fare una vita normale». L’accoglienza prevede un tour nell’occupazione. Corridoi lunghissimi, dove c’erano uffici ora ci sono stanze, con pudore si può mettere il naso in salotti rimediati ma lindi, divani e stampe di madonne. Servizi in comune, negli stanzoni lavatrici e biancheria stesa. Spuntano occhi curiosi di bambini. Prima di arrivare nella sala riunioni, al piano interrato, si beve insieme il té marocchino. La sala si riempie. Facce da Senegal, Marocco, Perù, Equador, Polonia, Italia. Fra loro c’è Tano D’Amico, il monumentale fotografo dei movimenti, qui a gennaio ha tenuto una lectio magistralis sulle opere di Caravaggio. E poi ha fatto un libro fotografico sugli ultimi anni di lotta per la casa.

«A ROMA IL 51,3% dispone di un reddito sotto i 15 mila euro l’anno. Negli ultimi anni sono stati tagliati di oltre 100 milioni alle politiche sociali dal bilancio della Capitale», spiega Giuseppe De Marzo, di Libera e della rete dei Numeri Pari. «La necessità di stare insieme nella rete viene dal fatto che nessuno ce la può fare da solo. Ma come c’è una geografia della povertà c’è anche una geografia delle speranza. Vogliamo camminare insieme», dice. È la pastorale della strada di Monsignor Pellegrino, il vescovo che ordinò don Luigi Ciotti parroco di una parrocchia particolare: la strada. «Sono venuto a vedere gli invisibili» spiega Damilano, «cerchiamo di fare il nostro lavoro, che non è solo accendere un faro, un ’circolo mediatico’ intorno a questa esperienza, ma ricostruire un racconto giornalistico diverso da quello che criminalizza la povertà e la solidarietà. E porre una domanda alla politica: la diseguaglianza è sul serio in cima all’agenda della politica?». «Un paese con il tessuto sociale pieno di fragilità sociali starebbe in piedi senza esperienze solidali come questa?», chiede Barca. Rosa, una ragazzona giovane bella e combat, sorride: «Fragile a chi?». Ha ragione, ci vuole una gran forza. Spiega Luca Fagiano, del Movimento per il diritto all’abitare: «L’esperienza che rappresentiamo può essere un modello di come ci si può organizzare, una sperimentazione. Cerchiamo di dare l’esempio di coraggio e di lotta, finché non arrivano risposte concrete. E se una sinistra ci deve essere, è quelli che soffrono come noi».

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