Per una democrazia pluralista e conflittuale

Il prossimo referendum costituzionale, quale ne sarà l’esito, ha già prodotto un danno: la divisione di quel pensiero critico che aveva in passato condotto battaglie comuni in nome della democrazia costituzionale. Basta leggere gli interventi che si susseguono sulla stampa e le prese di posizione individuali, oltre a quelle collettive, per rendersi conto della divisione e del rimescolamento di carte. Divisione tanto più incomprensibile visto che tutti coloro che si battono da anni contro la perdita di centralità del Parlamento e la crisi della rappresentanza politica sanno meglio di ogni altro che non si tratta di una questione di numeri.
Abbiamo spiegato per anni, tutti assieme, che il principale problema democratico era quello della progressiva marginalizzazione del Parlamento e della perdita di rappresentatività dei suoi membri. Ci siamo opposti con tutte le nostre forze ai molteplici tentativi finalizzati a rendere il nostro sistema parlamentare ancor più confuso. È per questo che abbiamo contrastato le “riduzioni” scellerate promosse dalle due riforme del centrodestra nel 2005 e del centrosinistra nel 2016. Ma è in base a questa stessa ragione di recupero di una rappresentanza effettiva e della centralità parlamentare che siamo stati a favore di “riduzioni” virtuose, che fossero in grado di restituire centralità al Parlamento, unificando la rappresentanza e garantendo al contempo il pluralismo: monocameralismo e sistema elettorale proporzionale. Una grande battaglia di democrazia che dovremmo tornare a proporre.
Ora, invece, si discute solo di numeri: chi con un improvvisato ottimismo (la riduzione come leva per riforme auspicate da anni e mai realizzate), chi con una sproporzionata drammatizzazione (la riduzione come causa della crisi della rappresentanza che non nasce da oggi).
Purtroppo, la crisi del parlamentarismo e della rappresentanza sono ben più serie di quanto non si voglia dire, indotti in errore dal pathos polemico di questa brutta campagna referendaria che sembra voler tutto ridurre ad una scelta tra coloro che sono a favore di questo Parlamento, quotidianamente umiliato, e coloro che vogliono ridurlo ancor peggio. Una “trappola” cui dovremmo sottrarci rilanciando le nostre più meditate convinzioni.
È per questo che dopo il referendum, qualunque sia l’esito, dobbiamo ripartire. Sarà necessario rimboccarci le maniche, per riparare i guasti e indicare i rimedi, per rilanciare con consapevolezza e con una lucidità oggi smarrita la battaglia per una democrazia costituzionale pluralista e conflittuale, che ponga al centro del sistema l’organo della rappresentanza politica e i soggetti del pluralismo.
Cambiare registro non sarà facile perché le illusioni e le delusioni saranno profonde, così come le incomprensioni e le fratture saranno accentuate. Non sarà facile cambiare verso e contrastare la cultura del regresso che si pone alle origini, non tanto di questa riforma, quanto della lunga stagione dell’improvvido revisionismo costituzionale non ancora conclusa. Ma proprio per questo è ancor più urgente riaprire un dibattito pubblico. Avviare una nuova riflessione sul ruolo e le funzioni del Parlamento, denunciando ancora le ininterrotte tendenze ad accentrare i poteri, contrastando la riduzione della democrazia a governabilità.
Dopo il referendum, sarà ancor più urgente interrogarsi su come restituire vitalità alla democrazia rappresentativa. Quale che sia il numero dei suoi membri rimarranno inevase le grandi e reali questioni che hanno ridotto il Parlamento a zerbino del Governo. Tutti concordano sulla necessità di modificare i Regolamenti parlamentari, che si imporrà qualora dovesse essere confermata la scelta della riduzione dei componenti le due Camere. Nessuno però riflette sul senso e il verso di questa riforma necessaria, che viene proposta come se fosse un semplice passaggio tecnico di natura puramente organizzativo per permettere al Parlamento di funzionare “comunque”. Una tale riforma non sarebbe in grado di cambiare in meglio, semmai preserverebbe il peggio. La reale questione da porre sin d’ora è quella di una modifica dei Regolamenti in grado di assicurare un vero dibattito tra le forze politiche presenti in Parlamento e garantire un’effettiva autonomia dell’attività parlamentare dal Governo. Ma questo vuol dire rimettere in discussione vent’anni di “democrazia governante” che ha imposta dentro al Parlamento regole che sono corresponsabili del degrado: misure a tutti note, ma che nessuno discute più. Si tratta di ripensare il contingentamento dei tempi, il ruolo delle commissioni parlamentari, l’ammissibilità degli emendamenti dei singoli parlamentari eccessivamente irreggimentata e ridotta ai minimi termini a fronte della possibilità data ad libitum al governo di presentazione di maxiemendamenti sostitutivi, su cui chiedere la fiducia. Sono solo degli esempi – forse i più evidenti – che dimostrano dove si celino i veri problemi della crisi del Parlamento.
Anche la discussione attuale sulla rappresentanza politica e la legge elettorale appare falsata. È certo un bene che dopo anni di infatuazione maggioritaria si prenda atto del fallimento delle distorsioni create che hanno portato a far dichiarare incostituzionali le norme adottate nel mito – in verità ancor duro a morire – della governabilità. Ma non vorremmo che ora si utilizzasse come falso schermo il principio proporzionale. L’adozione di sistemi proporzionali con alte soglie in collegi assai ampli e con scarsa distribuzione dei seggi, non sarebbe altro che un sistema maggioritario mascherato. Il principio proporzionale nella sua essenza di valore è quello che assicura il pluralismo politico, ovvero la rappresentanza a secondo del suffragio ottenuto di tutte le forze in campo, con particolare attenzione alla non esclusione delle voci e forze minoritarie. Non basta dunque una legge elettorale proporzionale “purchessia”, si tratta di ricominciare a riflettere sul come assicurare una rappresentanza plurale. Il che ci dovrebbe portare ad affrontare due temi scomodi e irresponsabilmente pretermessi nella discussione pubblica. Dovremmo ricordare, in primo luogo, che le garanzie di rappresentanza non riguardano tanto le attuali forze politiche, non servono per assicurare il permanere di piccole rendite di posizione per gli attuali attori che fissano le soglie di sbarramento a seconda dei sondaggi che li riguardano. Il pluralismo politico da assicurare è principalmente quello di chi oggi non trova rappresentanza alcuna, né nelle istituzioni né nelle formazioni politiche. Tutti quei cittadini – singoli, ma anche movimenti, associazioni, formazioni sociali, culture – che non riescono più a partecipare per concorrere a determinare la politica nazionale.
E questo si lega all’altro aspetto colpevolmente tralasciato nel dibattito politico attuale, ma che risulta essere il più importante per chi vuole affrontare i problemi reali della crisi della rappresentanza: il crollo della capacità rappresentativa dei partiti politici. Sono i partiti, infatti, i mezzi principali, se non esclusivi, che la nostra Costituzione ha individuato per assicurare partecipazione e rappresentanza. Dovremmo provare a rompere il complice silenzio sul ruolo dei partiti, richiamando l’attenzione di tutti, in primo luogo delle stesse forze politiche, alla necessità di ritrovare il compito che la Costituzione assegna loro. Sarebbe essenziale ricordare che, tanto i singoli esponenti politici quanto le forza organizzate, devono vivere per la politica costituzionale e non di politica autoreferenziale.
I temi indicati, le prospettive evocate sono un patrimonio comune di chi tante battaglie ha intrapreso in passato in nome di una democrazia costituzionale pluralista e conflittuale. Il referendum costituzionale su cui siamo chiamati a decidere il 20 e 21 settembre parla d’altro. Per una volta l’accusa di “benaltrismo”, che tanto spesso ci è stata rivolta quando abbiamo rilevato la complessità dei problemi, ci sentiamo di rivolgerla a chi oggi pensa che la crisi della democrazia parlamentare sia riducibile ad una questione di numeri e non invece agli squilibri reali della nostra forma di Stato e governo. A fronte di questa dimensione dei problemi ci si parla di “ben altro”, distogliendo lo sguardo da ciò che è in gioco.
Dopo il referendum, abbassata la polvere, dovremmo tornare a parlarci e a guardare lontano.
È per tutto ciò che a nome delle tre organizzazioni culturali che rappresentiamo ci impegniamo sin d’ora a promuovere una vasta discussione sui temi della democrazia parlamentare e della rappresentanza politica. All’inizio del mese di ottobre organizzeremo una prima pubblica discussione, speriamo non sia che l’inizio di una ripresa che possa coinvolgere – in forme e modi diversi – tutti coloro che non pensano di potersi fermare difronte alla vittoria ovvero alla sconfitta di un giorno.
Gaetano Azzariti (Presidente della “Associazione Salviamo la Costituzione. Aggiornarla non demolirla”)
Maria Luisa Boccia (Presidente della Fondazione “Centro Riforma dello Stato”)
Franco Ippolito (Presidente della “Fondazione Basso”)
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