Il Parlamento dica no all’autonomia regionale differenziata

Se c’è una cosa che la pandemia ha insegnato è che le regioni non sono affidabili. Ma vogliono l’autonomia differenziata per fare quello che gli pare.

Francesco Pardi

L’autonomia regionale, insieme alle autonomie locali, è già in Costituzione (art.5). Perché dev’essere differenziata?

L’autonomia regionale differenziata non era mai uscita di scena ma ora torna al centro dell’attenzione perché il suo cammino è rafforzato dal collegamento con la legge di bilancio, che deve essere votata entro dicembre. Ciò significa che la sua forma conclusiva, anche se fosse considerata letale, non potrà essere sottoposta a referendum popolare. I signori dell’autonomia hanno voluto proteggersi le spalle e darsi la sicurezza che il danno inferto non sia rimediabile.

Se c’è una cosa che la pandemia ha insegnato è che le regioni non sono affidabili proprio sul terreno che dovrebbe essere il loro specifico campo d’azione: la sanità pubblica, che costituisce peraltro il fondo di gran lunga maggiore delle loro risorse finanziarie. Con tutti i loro errori hanno fatto rimpiangere anche a chi non voleva l’autorità dello Stato centrale. Sembrerebbe naturale che in questo momento un minimo di pudore consigliasse alle regioni di stare defilate in silenzio. Niente affatto, vogliono l’autonomia differenziata per fare quello che gli pare.

E non solo nelle regioni in mano al centrodestra ma anche in quelle governate dal centrosinistra si trovano i sostenitori più accaniti. L’Emilia e Romagna è in prima fila. Ora per cogliere il pericolo dovete sapere che la legge urbanistica peggiore d’Italia è proprio quella dell’Emilia e Romagna. È una legge che stabilisce platealmente il dominio dell’urbanistica contrattata. Che vuol dire? Vuol dire che gli enti pubblici non possono pianificare il loro territorio senza un’intesa preventiva con le forze economiche. Queste diventano arbitre indiscusse del destino di tutto ciò che nel territorio può essere fonte di guadagno privato, cioè quasi tutto. Espansioni urbane, destinazioni produttive e commerciali, aree fabbricabili, infrastrutture, utilità pubbliche, beni comuni, tutto sarà contrattato con i poteri finanziari. Non certo con le associazioni del protagonismo civile. Si sa: la partecipazione senza partecipanti è ciò che predilige la politica dominante.

Aggiungete l’ultimo colpo. L’autonomia differenziata dà alle regioni competenze stringenti su beni culturali e paesaggio. Lo slogan selvaggio “Ognuno padrone a casa sua” è arrivato a dettare legge anche sui beni comuni più essenziali: su Venezia decide solo il Veneto, su Firenze solo la Toscana. L’incomparabile patrimonio naturale e artistico del nostro paese non potrà più essere tutelato dalla cura dei cittadini italiani ma ricadrà sotto gli interessi di bassa bottega delle nomenklature regionali. Fino a quando potrà resistere?

Anche lo Stato centrale non è esente da critiche e da sospetti giustificati, ma immaginate che cosa voglia dire per i futuri difensori civici dei beni comuni non poter rivolgersi a un’unica autorità centrale ma dover rincorrere elusive competenze regionali da un punto all’altro del paese. È da un bel po’ di tempo che anche i più sinceri sostenitori della democrazia parlamentare sono delusi dal Parlamento, che gliene ha fatto vedere di cotte e di crude; basti pensare alle leggi elettorali. Ora la loro fiducia è affidata a una decisione: il Parlamento dica no all’autonomia regionale differenziata!

Il Parlamento dica no all’autonomia regionale differenziata

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