“Un’alternativa civilizzante per uscire dalla morsa delle crisi” – L’intervista di Giuseppe De Marzo su MicroMega

L’ottava intervista della serie “La politica che (non) c’è” è a Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della Rete Numeri Pari. Al centro, il contrasto alle mafie, l’assenza di una politica in grado di dare spazio alle istanze dal basso e una rappresentanza ormai scomparsa, appiattita sui “diktat” del governo di Mario Draghi. È così che, mentre i soldi “non ci sono” per le politiche sociali «si stanziano 38 miliardi per armare il Paese e 19 miliardi per finanziare le imprese petrolifere».

Marzo 25, 2022 – Daniele Nalbone

Incontriamo Giuseppe De Marzo per l’ottava intervista della serie “La politica che (non) c’è” lunedì 21 marzo al termine della manifestazione in Campidoglio organizzata per la 27a Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Una giornata volta a fare memoria di tutti coloro che sono stati uccisi dalla violenza mafiosa e che dal 1996 rappresenta per l’associazione Libera l’occasione di essere al fianco di chi, troppo spesso, non ha ottenuto né verità né giustizia, rivolgendo allo stesso tempo lo sguardo al presente per la costruzione di una società libera dall’oppressione mafiosa. Giuseppe De Marzo è coordinatore nazionale della Rete Numeri Pari, percorso inizialmente promosso dal Gruppo Abele e da Libera e che oggi unisce centinaia di realtà sociali in tutta Italia «che condividono l’obiettivo di garantire diritti sociali e dignità», ed è il responsabile nazionale di Libera per le politiche sociali.

«Siamo scesi in piazza per ricordare al Paese che senza memoria condivisa, senza giustizia, le mafie continuano a essere forti e la condizione sociale, economica e culturale in cui ci troviamo rischia di rafforzarle ulteriormente». Al centro della giornata, «non un’idea di memoria retorica, celebrativa, ma viva e condivisa». Il che significa «impegno, difesa dei valori costituzionali. La politica oggi non ritiene più una priorità sconfiggere le mafie, per questo non ha consapevolezza di come siano cambiate nel corso degli anni, sfruttando la crisi prodotta prima dalle politiche di austerità e poi dalla pandemia».

Parte da qui la nostra discussione. Dalle istanze promosse dal basso che, sempre di più negli ultimi anni, hanno trovato nella politica intesa come classe dirigente del Paese un ostacolo.
Noi come Libera continuiamo a porre alla politica una serie di questioni, di temi prioritari per la democrazia. Sono nove anni, prima con Miseria Ladra e poi all’interno della Rete Numeri Pari, che continuiamo a chiedere politiche sociali coerenti con quanto stabilito dalla Costituzione e con la necessità di sconfiggere le mafie: reddito minimo garantito, e su questo ritengo molto importanti le parole di Chiara Saraceno rilasciate proprio a MicroMega; diritto all’abitare, visto che il 18% delle famiglie italiane non è oggi in grado di pagare l’affitto; politiche che garantiscano un lavoro giusto e dignitoso; e il ritiro del progetto dell’autonomia differenziata, una secessione dei ricchi che alberga ed è condivisa per certi versi dalla borghesia mafiosa del nostro Paese, che certificherebbe l’esistenza di cittadini di serie a, serie b e serie c visto che la traduzione pratica di questo progetto (lanciato prima dalla Lega e raccolto poi da Bonaccini e altri esponenti del Pd) sarebbe quello di non garantire a tutti i cittadini italiani gli stessi diritti e di violare l’unità della Repubblica, frammentandola in tanti staterelli. Abbiamo poi chiesto che sul Pnrr ci fosse vera coprogettazione e vera coprogrammazione come prevede l’articolo 3 del codice del partenariato europeo e come indicato dalla sentenza 131 del 2020 della Corte costituzionale, perché l’efficacia dei progetti è maggiore coinvolgendo il terzo settore, le associazioni, le reti sociali. Perché solo in questo modo i progetti possono essere veramente efficaci e garantire un trasparente uso dei fondi.

Nemmeno su questo punto siete stati ascoltati. Eppure, quella del terzo settore era una mano tesa, in aiuto, sui progetti del Pnrr.
Purtroppo siamo molto preoccupati perché il governo Draghi non ha fatto della coprogettazione e della coprogrammazione il proprio metodo, mostrando ancora una volta come l’unico metodo scelto sia invece quello verticale, con la chiusura all’ascolto delle istanze delle reti sociali e dell’associazionismo, allontanando ulteriormente i cittadini dalla politica. Per la verità Draghi non ascolta nemmeno il Parlamento. La politica con questo governo è ridotta a una subordinata. E questo offende la Repubblica.

Nonostante ciò, in questi mesi le piazze sono state piene. Potrei fare molti esempi, quindi meglio non farne nessuno.
Questo, paradossalmente, ci preoccupa. Le piazze viste in questi mesi, piazze che definirei disperate, devono farci riflettere. Quando lo Stato e la politica non garantiscono i diritti sociali, l’istruzione, la salute pubblica, il lavoro, la rabbia dei cittadini rischia di essere intercettata dalla criminalità organizzata e dalle forze di estrema destra, che si sono saldate sul campo, pronte a indicare nuovi nemici a cui dare la colpa per il peggioramento delle condizioni materiali ed esistenziali che colpiscono ceti popolari e ceti medi. Dobbiamo invece trasformare questa rabbia, assolutamente legittima, in richiesta di speranza, di giustizia sociale e ambientale. Se non ci si pone in ascolto di quelle piazze si alimenta la rabbia sociale, che può essere intercettata dal “welfare sostitutivo mafioso” e dal nazional populismo. Siamo preoccupati perché si continua a spostare il problema altrove mentre combattiamo con la “pandemia delle diseguaglianze” e con molte delle sue varianti, tra cui la “variante criminalità” che ferisce la nostra democrazia e ne determina il declino.

Il riferimento alla criminalità è molto interessante. Si sottovaluta spesso quanto il disagio possa portare le persone verso le mafie.
Come Libera abbiamo presentato uno studio incentrato sui cosiddetti “reati spia” che mostra in maniera inequivocabile come questa disperazione sia stata letteralmente intercettata dalla criminalità. Questi reati sono aumentati dal 26 al 100% in quelle che abbiamo definito “zone rosse”. In Italia sono tutte “zone rosse” tranne un paio di zone gialle. Nel Lazio, se parliamo solo delle interdittive antimafia, sono aumentate del 26%, l’usura del 32%. Le operazioni finanziarie sospette sono state 31.565, con un aumento del 57%. Le mafie sono agevolate, nel nostro Paese, da questo sistema economico fortemente escludente, competitivo, verticale, opaco. In questo contesto, i ritardi e le mancanze del governo sono ancora più gravi. Solo per fare un esempio: per la manutenzione e la messa in sicurezza dei beni confiscati alle mafie il governo ha stanziato 200 milioni di euro del Pnrr, ma soltanto al Sud. Come se le mafie rispondessero ancora oggi a quella rappresentazione arcaica di chi con la coppola promuove stragi e affari dal profondo sud del Paese. Sappiamo invece da molto tempo come le mafie siano sempre più radicate e facciano affari nel centro nord, dove infatti ci sono più di un terzo dei beni confiscati. Perché impedire ai governatori del Lazio, della Toscana, della Lombardia di avere fondi per rigenerare e gestire insieme alle associazioni i beni confiscati? Se non dai alle associazioni la possibilità di usare quei beni, costruire lì dentro memoria condivisa e partecipata, lo Stato perde due volte, non usando un bene che potrebbe essere importante per la vita di un territorio e allontanando i cittadini, stretti tra il disamore e il disinteresse per l’impegno civico.

Parlando proprio di territori: oggi è solo attraverso le istanze locali che c’è spazio di azione? Quanto accaduto a Roma nei giorni scorsi, con la nascita del primo “Forum” italiano sui beni confiscati alle criminalità, è a mio avviso significativo. Fino al primo livello, quello comunale, per le istanze dal basso c’è spazio di manovra. Ma più si sale, più si restringe la possibilità di azione. E ci si allontana, quindi, dalla politica. Sbaglio?
Spesso abbiamo imputato alla città di Roma molti dei mali del Paese. Dobbiamo quindi riconoscere quando alcune cose cambiano in meglio. In questa città i movimenti, da quelli per il diritto all’abitare a quelli per il diritto alla salute, si sono saldati e hanno lottato non solo attraverso proposte, ma con pratiche concrete, partendo dal mutualismo e dalla cooperazione. Abbiamo costruito una forte consapevolezza in questi anni e la giunta Gualtieri ha fatto proprie alcune delle nostre proposte. Ci auguriamo che si continui su questa strada. È la prova che c’è ancora spazio. Non posso però non ammettere il profondo disagio, la profonda solitudine dei nostri mondi a livello nazionale, dove mancano ascolto, interlocuzione, dialettica. Come se non esistessimo. Eppure, siamo più di 600 realtà sociali in rete e i problemi su cui chiediamo ascolto sono maledettamente reali, e continuiamo a viverli sulla nostra pelle: pensiamo ai fondi del Pnrr che sarebbero dovuti servire per promuovere equità sociale e sostenibilità ambientale mentre oggi vanno per armi, carbone e gas.

Questa spaccatura tra governi locali “virtuosi” o “potenzialmente virtuosi” e governo nazionale barricato, impassibile davanti alle istanze, non rischia di alimentare ulteriormente il disamore verso la politica della cosiddetta rappresentanza?
La politica nella migliore delle ipotesi si ferma alla mera narrazione del problema, pensando che questo basti a risolverlo, come quando l’attuale ministro degli Esteri al momento dell’introduzione del reddito di cittadinanza dichiarò dal balcone: «La povertà è finita». Un atteggiamento più consono ai social network che a una democrazia parlamentare. Abbiamo classi dirigenti che mancano di concretezza perché non hanno visione. E senza visione non c’è pensiero complesso. Rimangono solo apparenza e vanità, lasciando spazio agli interessi delle élite economiche e finanziarie (e spesso mafiose) in grado ormai di influenzare le scelte e di orientarle grazie al loro enorme potere di condizionamento. Del resto, basterebbe vedere a chi sono servite le leggi di questi anni e quanti si sono arricchiti e impoveriti. Oggi, nonostante 12 anni di austerità e due di pandemia, le priorità sono evidentemente altre. Il nostro Paese investe 38 miliardi in armi, 19 miliardi in sussidi ambientalmente dannosi alle imprese petrolifere, quando dovremmo invece occuparci di giustizia sociale, ambientale, lotta alle mafie e alla corruzione. Non possiamo non essere preoccupati. Quante volte abbiamo ascoltato, in risposta alle istanze dal basso, che “non ci sono i soldi”? Eppure, ripeto, 38 e 19 miliardi si sono trovati in pochi giorni. Vorrei ricordare una cosa che può sembrare banale: garantire i diritti sociali è il compito prioritario di una Repubblica. Ma in questo Paese vediamo aumentare le spese per le armi, investire in una “transizione energetica” che favorirà solo le lobbies del gas e del petrolio, e dall’altra mettere in campo un Piano nazionale di ripresa e resilienza senza la minima coprogettazione e coprogrammazione. Il rischio è quindi di avere un Pnrr pensato per contrastare le diseguaglianze che invece le farà aumentare e che anziché impegnarsi per la riconversione energetica favorirà le multinazionali della dark economy. A questo mi riferisco quando dico che la politica dovrebbe narrare di meno e affrontare i problemi reali. Ma senza visione è impossibile.

E veniamo al tema a mio avviso principale. La partecipazione. Piazze piene, urne vuote. Riducendo al minimo la complessità della situazione, a questo abbiamo assistito negli ultimi mesi.
Il processo politico che guida il Paese è pieno di contraddizioni, appiattito totalmente sulle posizioni del governo Draghi nonostante, soprattutto a livello locale, ci siano dei sindaci che stanno rivendicando spazio e portando avanti istanze in alleanza con i cittadini. Dobbiamo essere consapevoli di trovarci in una strana morsa. Da un lato ci sono i “negazionisti della crisi” che chiedono di tornare al mondo di prima, dall’altra i “gattopardi” che danno ragione a quelle che hai chiamato “istanze dal basso” ma poi non fanno nulla per cambiare. Noi siamo stretti in questa morsa. Per uscirne, serve un’alternativa civilizzante che dia voce a nuove ricomposizioni sociali che promuovono un cambiamento di merito e di metodo.

“Un’alternativa civilizzante per uscire dalla morsa delle crisi”

 

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWSLETTER
I agree to have my personal information transfered to MailChimp ( more information )
Autorizzo La Rete dei Numeri Pari a processare i miei dati personali secondo il Decreto Legislativo 196/2003 e/o successive integrazioni o modifiche
Noi odiamo lo spam. I tuoi dati saranno usati in conformità al Regolamento (UE) 2016/679