La speranza è verde

Articolo Pubblicato sulla rivista bimestrale La Via Libera n°1

Di Giuseppe De Marzo – coordinatore nazionale Rete dei Numeri Pari

Tra pochi anni in Artide il mare sarà quasi completamente navigabile. Alla fine della primavera dello scorso anno le stazione meteo hanno registrato il 12 giugno temperature fino a 22 gradi sopra la media stagionale e la fusione dei ghiacci superficiali era già al 40 per cento, quattro volte superiore alla media dello stesso periodo degli anni precedenti. I climatologi avevano previsto che questi fenomeni si sarebbero potuti verificare ma intorno al 2070. Sta già succedendo. Sono invece 3,2 miliardi le persone a vedere la loro sicurezza minacciata dal degrado dei suoli, come denuncia la piattaforma della Convenzione Onu contro la desertificazione. Dall’altra parte lo scioglimento prematuro della Criosfera causato dall’aumento della temperatura mette a rischio l’umanità, accelerando l’impatto dei cambiamenti climatici. Mentre l’UNEP, l’agenza per l’ambiente della NU, ha denunciato lo scorso novembre che le emissioni di gas serra sono cresciute anche nel decennio passato e nessuno dei risultati annunciati è stato centrato: significa in sostanza che di questo passo l’aumento medio previsto della temperatura in questo secolo sarà di 3,2° e non di 1,5°, indicata come soglia esiziale da non oltrepassare per non innescare conseguenze devastanti per la sopravvivenza della razza umana. Secondo le NU e la scienza se vogliamo evitare la catastrofe dobbiamo triplicare gli sforzi sino al 2030: significa ridurre del 7,6% ogni anno le emissioni di gas serra. Ma nonostante 25 conferenze mondiali sul clima, due incontri mondiali della Terra e decine di convenzioni internazionali firmate ad oggi non ci sono azioni, scelte, finanziamenti adeguati e prospettive che vincolino lo sviluppo e le politiche economiche a queste necessità. Eppure sappiamo che l’economia è solo un sottosistema dell’ecologia: senza servizi ambientali gratuiti gentilmente messi a disposizione dalla Terra non esisterebbe niente nel nostro tempo, altro che sviluppo. Siamo dipendenti dai cicli vitali, dai suoi limiti e dalle sue capacità di rigenerazione ed autorganizzazione. Nonostante questa ineludibile verità, la governance globale continua a essere interessata unicamente alla crescita economica, immaginata come infinita a fronte di un pianeta con risorse finite. Così mentre non ci sono mai fondi per combattere le ingiustizie ambientali e sociali, un’analisi della Banktrack rivela che nei tre anni passati dall’adozione degli accordi di Parigi per il clima (2016-2018) 33 tra i maggiori gruppi bancari mondiali hanno fornito 1900 miliardi di dollari di prestiti al settore dei fossili. Addirittura 600 miliardi sono andati alle 100 imprese che stanno ampliando le attività legate ai fossili. Di questi 33 gruppi bancari, 16 hanno firmato lo scorso 24 settembre con l’ONU il patto per “I principi per un settore Bancario Responsabile”. Il trionfo dell’ipocrisia di un sistema fuorilegge, nonostante il suo legalismo securitario di maniera. Le conseguenze di queste scelte sono povertà, inquinamento, insicurezza sociale, collasso climatico, guerre, migrazioni ambientali, distruzione di economie locali e dello spazio bioriproduttivo. E riguardano ormai, anche se con sfumature diverse, proprio tutti, non solo i paesi più impoveriti.  Ad esempio il Climate Risk Index di Germanwatch, riferendosi al periodo 1999-2018, denuncia come l’Italia sia il sesto paese al mondo per le vittime causate dall’aumento dei fenomeni metereologici estremi, il ventiseiesimo per perdite procapite subite. Sono gli “effetti collaterali” di una politica economica che risponde unicamente alle necessità del modello neoliberista e della sua elite. Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri, fine dei ceti medi risucchiati sempre più nell’ingorgo in basso per la sopravvivenza.

Viviamo un’epoca segnata dalla minaccia del collasso climatico e dall’aumento senza precedenti delle disuguaglianze. Un tempo scandito da una crisi che indebolisce la democrazia a tutte le latitudini, incapace di garantire un equilibrio tra diritti sociali, libertà e sostenibilità ecologica. Una democrazia sempre più autoritaria che usa a suo vantaggio la rabbia prodotta dalla crisi di sistema, ma volontariamente incapace di rimuovere le cause che l’hanno allargata. La democrazia è oggi ostaggio di una politica dematerializzata che lascia il campo a interessi privati, che spesso convergono con gli interessi criminali. Come nel caso del nostro paese, dove le mafie prosperano perchè aiutate da una cultura politica che predilige la deresponsabilizzazione individuale, la scorciatoia, la negazione dei diritti sociali, il patriarcato, l’idea dell’uomo forte al comando e l’insofferenza per la democrazia.

Ma siamo anche in un tempo della storia in cui nascono e si diffondono nuove soggettività che prendono il posto del vuoto lasciato dalla politica. Una “geografia della speranza” che mette insieme i tanti punti sulla mappa della Terra in cui una nuova “società in movimento” si sta battendo per la giustizia sociale, ambientale ed ecologica. Un orizzonte fatto di impegni concreti e quotidiani, ma allo stesso tempo di una visione di insieme ed un respiro capaci di sciogliere le paure e restituire speranza all’umanità.  Nel nostro paese ne sono prova, tra gli altri, le centinaia di realtà della rete dei Numeri Pari nate in questi anni di crisi per rispondere all’aumento delle disuguaglianze attraverso pratiche di mutualismo solidale concrete, i ragazzi del FFF ed i militanti di Extintion Rebellion che organizzano gli scioperi climatici e centinaia di azioni che stanno cambiando il linguaggio ed il punto di vista di molti, le Sardine che hanno riempito le piazze d’Italia per riaffermare valori e diritti fondamentali messi in discussione dai fabbricanti della paura e dell’odio. Sono questi soggetti che possono oggi in Italia come nel mondo rifondare la democrazia per promuovere quella transizione ecologica e quel cambiamento culturale di cui tutti e tutte abbiamo bisogno.