Roma 16 dicembre 2017: reddito e diritti in piazza senza confini

“Diritti senza confini”. Questo il titolo della manifestazione meticcia che ha attraversato Roma lo scorso 16 dicembre. Decine di migliaia di persone hanno animato una manifestazione inedita nella sua composizione, che ha denunciato la trasformazione del welfare in elemosina, l’individuazione dei poveri e dei migranti come nemici da combattere, la repressione del dissenso e della lotta per i diritti. Sono i dispositivi legislativi come la Bossi-Fini, la Minniti-Orlando, il decreto Lupi, il taglio del 90% al FNPS, l’assenza di una misura universale di sostegno al reddito, il pareggio di bilancio inserito in Costituzione con la modifica dell’art.81 a confermarlo.
La manifestazione promossa dai movimenti dei migranti, a partire dalla Coalizione Internazionale Sans Papier, da quelli per il diritto all’abitare, dalla rete dei Numeri Pari e da tantissime altre realtà sociali ha messo per la prima volta insieme proposte e pezzi di società, solo apparentemente diversi, impegnati nella difesa e nella conquista dei diritti che in questi ultimi anni sono andati perduti: casa, reddito, lavoro, diritti dei migranti e rifugiati, libertà, saperi e conoscenza. Ed è proprio perché rifiuta la categorizzazione e la semplificazione di questioni così complesse, legate così profondamente alla vita delle persone, che la manifestazione del 16 dicembre è riuscita a dar vita ad uno spazio pubblico in cui unire le voci, le proposte e le lotte di chi è convinto che i diritti sociali, la dignità di ogni essere umano e l’impegno contro ogni forma di ingiustizia sociale e razzismo siano le fondamenta sulle quali ricostruire democrazia e partecipazione.
È questo il tema ineludibile per il futuro dell’Italia e dell’Europa: la crisi la si sconfigge continuando a mettere al centro competitività e politiche di austerità oppure investendo per contrastare l’enorme aumento delle diseguaglianze e della povertà che minano coesione sociale, qualità dello sviluppo, a discapito della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica? Siamo ancora disponibili a semplificare il dibattito sostenendo che non possiamo più permetterci i diritti sociali, la casa, un lavoro dignitoso, il diritto all’accoglienza, il sostegno al reddito, perché rappresentano un “costo” insostenibile, fingendo di non sapere che questo significa inevitabilmente la fine della democrazia per come l’abbiamo conosciuta in Europa? E siamo così sicuri di poter affermare che i diritti sociali siano un “costo” invece che un investimento ed un obbligo, così come previsto dalla nostra Costituzione, dalla stessa carta di Nizza e da numerose risoluzioni del PE?
Gli studi ed i dati sull’aumento delle diseguaglianze e sull’aumento delle grandi ricchezze private dimostrano come il problema della povertà in Europa non consista nella scarsità di risorse in tempi di crisi, ma nel modo in cui la ricchezza è distribuita, nei tagli al welfare e nella perdita di centralità delle politiche sociali e fiscali come strumento di contrasto alle disuguaglianze. Ad esempio nel nostro paese negli ultimi 9 anni la povertà assoluta è triplicata- oggi sono 4,8 milioni gli italiani in questa condizione- così come il numero dei miliardari, arrivati a 342. A questo dobbiamo aggiungere il fatto che la robotica, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale hanno determinato un cambiamento irreversibile: la produzione di beni e servizi necessita sempre meno lavoro salariato. Ne conseguono condizioni sempre più sfavorevoli per i salariati, una disoccupazione in aumento con un inevitabile pressione alla riduzione ulteriore dei salari.
Ma quello che oggi preoccupa maggiormente è il silenzio del governo e della politica su quanto contenuto negli ultimi rapporti Istat, Eurostat e Censis. Tutti gli studi denunciano un sistema di protezione sociale tra i meno efficaci d’Europa, ormai incapace di far fronte all’aumento senza precedenti di diseguaglianza e povertà, un progressivo peggioramento del mercato del lavoro, un paese nel quale sono i giovani tra i 15 ed i 34 anni a pagare il prezzo più alto della crisi e, soprattutto, un paese nel quale più di 18 milioni di persone sono a rischio povertà ed esclusione sociale! Un dato senza precedenti nella storia repubblicana. Tutto questo avviene anche in presenza di una crescita economica, smentendo la famosa tesi liberista secondo la quale prima bisogna occuparsi della crescita, e poi di esseri umani ed ambiente. La verità è che di esseri umani e di ambiente non ci si occupa, perché questa governance produce norme e dispositivi disumanizzanti, che tutelano solo gli interessi delle elite economico e finanziarie. E’ questa a nostro avviso l’emergenza a cui siamo chiamati a dare priorità.  Ignorare questo gigantesco problema che riguarda un terzo della popolazione equivale ad infilare la testa sotto la sabbia, fingendo di non vedere che in assenza di risposte il vuoto viene già colmato da populismo, razzismo, nazionalismo. A questo si aggiungono le mafie, capaci di sfruttare la situazione di difficoltà e di maggiore ricattabilità di chi è in difficoltà o ai margini, aumentando il potere di penetrazione culturale, sociale ed economico, offrendo lavoro, welfare e sicurezza, sostituendosi alla Repubblica.
Che fare quindi per rimettere al centro del dibattito pubblico e politico, in questa nuova fase della storia, la centralità dei diritti e l’impegno per la giustizia sociale, contro ogni forma di razzismo ed esclusione? L’unica strada praticabile è quella di lavorare per costruire un nuovo blocco sociale che abbia nella testa e nel cuore la necessità di perseguire quei valori e quegli obblighi iscritti nella Costituzione italiana, mai così disattesa e tradita. Non ci sono altre strade, né scorciatoie che possano garantire la costruzione di un punto di vista culturale condiviso che possa ribaltare l’attuale stato di cose. Per questo la manifestazione del 16 con le sue proposte e con la sua composizione plurale, rappresenta un segnale di grande speranza per tutti e tutte. In piazza è sceso per la prima volta un nuovo blocco sociale, che non mette in contraddizione i diritti, riconosce ed accetta la complessità della crisi, e lavora per costruire un punto di vista che attraverso ciascuna lotta particolare diviene generale.
Per chi si batte da anni per istituire anche nel nostro paese una forma di reddito minimo garantito, lo spazio pubblico emerso attraverso la manifestazione del 16 rappresenta una gran bella notizia ed un’opportunità concreta per continuare a rafforzare nella società le alleanze e le ragioni culturali, politiche ed economiche del diritto al reddito.
Giuseppe De Marzo
Responsabile naz Libera per le Politiche Sociali

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