Dal 2008 a oggi l’impatto della crisi e delle politiche di austerità ha aggravato una tendenza strutturale già in atto dagli anni ottanta a sacrificare gli obiettivi di giustizia sociale e riduzione delle disuguaglianze. Un approccio condiviso da amministrazione pubbliche, imprese ed organizzazioni sociali di ogni genere: come se non vi fosse più nessuna alternativa all’aumento delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale. In assenza di alternative ed innovazioni in ambito socioeconomico, ne sono usciti fortemente indeboliti non solo il welfare, già storicamente sottofinanziato ed a macchia di leopardo, ma anche i processi di partecipazione e inclusione sociale. La conseguenza è stata un aumento senza precedenti nella storia della Repubblica di povertà e disuguaglianze, economiche, sociali e di riconoscimento, a cui si accompagnano l‘impoverimento delle relazioni sociali, l’indebolimento delle comunità e il calo delle loro capacità di reazione. È in questo contesto che si sono moltiplicate le iniziative di natura civica e spontanea che hanno dato vita a pratiche di mutualismo solidale ed ecologico. In molti casi veri e propri servizi alla persona, in altri casi attività imprenditoriali capaci di stare sul mercato, punti di riferimento di natura comunitaria per un numero sempre più ampio di persone. Pur nella diversità delle pratiche ed esperienze, esse sono accomunate da alcune caratteristiche fondamentali che a questo stadio possiamo così rappresentare: reciprocità, solidarietà, azione collettiva, scambio differito. Siamo dinanzi a risposte che fanno emergere un nuovo campo costituito da nuove soggettività sociali, impegnate attraverso il mutualismo a ridefinire quasi in maniera inconsapevole forme di democrazia più efficaci e nuovi concetti di cittadinanza.
La crisi sanitaria ed economica causata dal Covid -19 ha allargato e sta allargando le disuguaglianze già esistenti, esponendo alla povertà relativa e assoluta la fetta di popolazione che viveva di lavoro precario, nero o “grigio” e che con l’arrivo del lockdown si è trovata senza reddito e garanzie. Il Covid non ci ha reso tutti uguali, anzi in assenza di risposte efficaci e di investimenti nella sanità pubblica, nella prevenzione e nella medicina territoriale ha colpito maggiormente i più fragili, gli esclusi e gli impoveriti dalla crisi di questi ultimi trenta anni. Questo ha spinto molte realtà sociali nate durante la crisi, insieme ad altri soggetti già preesistenti, a promuovere e poi strutturare diverse pratiche mutualistiche per dare risposte immediate alla crisi delle loro comunità: sia rafforzando esperienze già in essere, sia creandone di nuove al fine di dare risposte concrete in questo momento drammatico. Queste reti mutualistiche hanno dimostrato una capacità di lettura del modo in cui la crisi si manifestava nei territori e una capacità di intervento contestuale al dispiegarsi della crisi, mettendo in campo pratiche di solidarietà e cooperazione ma al tempo stesso ponendo interrogativi sull’adeguatezza delle risposte della politica e delle attuali forme della democrazia, e avanzando proposte.
Molti sono gli esempi di come queste pratiche, spesso autonome da forme codificate di organizzazione, non si limitino a integrare l’intervento pubblico o sopperire alle sue carenze ma ne sospingano la trasformazione. E di come, promuovendo nuove forme di partecipazione che rafforzano la cittadinanza attiva, ricostruendo relazioni comunitarie, queste pratiche contribuiscano all’affermazione di territori più coesi e inclusivi, tornando a dare valore alle aspirazioni fondamentali delle persone. Queste pratiche di mutualismo sono presenti in contesti diversi. Possono ritrovarsi all’interno di forme tradizionali di cooperazione. Possono esprimersi in modi nuovi, sotto forma di cooperative o Fondazioni di comunità che cercano strade originali di organizzazione, di rapporto tra privato, pubblico e sociale, e di rete. Ovvero, possono manifestarsi in modi fortemente legati a opportunità o emergenze territoriali e ricercare poi una connessione fra loro. È questo il caso delle 337 esperienze di mutualismo oggi collegate fra loro nelle Rete dei Numeri Pari e attive in molteplici campi di attività: produzione per il mercato, accesso al cibo, servizi fondamentali, cultura/sport/partecipazione.
Eppure, questo patrimonio di esperienze e di pratiche continua a non essere riconosciuto e accompagnato a livello di sistema. Se ne riconosce a volte, caso per caso, il ruolo di pratiche/strumento di coesione sociale e territoriale, in grado in alcuni casi persino di generare valore economico, di costruire opportunità di lavoro, in altri casi di rappresentare il solo argine al degrado della condizione umana, alle forti tensioni sociali che si accompagnano con le crisi, all’aumento della penetrazione mafiosa che mette in campo un welfare sostitutivo mafioso quando non vengono garantiti dalle istituzioni i diritti sociali. Da queste straordinarie esperienze e risposte nate dai soggetti sociali ovunque sul nostro territorio, non si traggono gli insegnamenti e le dovute conseguenze in termine di scelte politiche e amministrative. Le nuove pratiche di mutualismo rischiano quindi di restare precarie, di essere esposte alla volatilità delle circostanze e del ciclo politico, di non essere studiate per estrarne gli ingredienti che potrebbero consentire di rimuovere gli ostacoli alla loro diffusione e, più ancora, di coglierne il portato propositivo e innovativo – benché di lunga tradizione – sul piano dell’organizzazione sociale, della democrazia e della giustizia ecologica.
Nel momento in cui la gravità delle disuguaglianze pone all’ordine del giorno interventi che tocchino il modo di formazione della ricchezza e di organizzazione del welfare, e in cui addirittura la stessa Commissione europea rimette giustizia sociale e ambientale al centro della propria azione, apprendere dalle esperienze di mutualismo appare indispensabile. L’obiettivo è duplice: 1) rafforzare la consapevolezza, la qualità e la robustezza delle esperienze già in corso; 2) diffondere queste pratiche ad aree del sistema economico e sociale, oggi colpite dalla crisi, che avrebbero il potenziale per realizzarle ma non ne sono consapevoli.
Per cogliere il valore delle esperienze esistenti è necessario un approccio multidisciplinare e multicriteriale, insieme ad una prospettiva storica e internazionale. Un approccio multidisciplinare e multicriteriale perché il mutualismo, nelle sue modalità adattive a contesti diversi, non si risolve esclusivamente sul piano della risposta ai bisogni, ma pone in essere forme diverse di relazione sociale, dotandosi di forme di organizzazione relazionale che investono i piani diversi del con-vivere sociale, dal punto di vista economico e dei processi decisionali. La prospettiva storica e internazionale ci consente di cogliere l’elemento della ricorsività, della presenza e persistenza – in contesti molto diversi – di forme di organizzazione sociale fondate sul mutualismo, ampliando così la portata della riflessione con un’ottica transculturale – o se vogliamo globale – che consente di riconoscere queste esperienze come forme proprie di autorganizzazione cooperativa delle comunità umane, non residuali o ancillari rispetto all’organizzazione di tipo competitivo e di accumulazione privatistica, oggi dominante e, al contempo, di inquadrarle in una visione di tipo sistemico, in relazione alla rispondenza a finalità di giustizia ecologica e sociale, (Consente di sottrarsi ad una prospettiva comunitaristica chiusa, aderendo viceversa ad una prospettiva di “cosmopolitismo parziale”.).
Muniti di questo approccio, il progetto si articola in un’Indagine sul campo, Seminari e un’attività di Capacity Building:
L’indagine è rivolta a individuare le ricorrenze fra contesti socio-economici, modelli di welfare, bisogni e forme di autorganizzazione, fattori propulsivi e condizioni abilitanti. Obiettivo della ricerca è dunque di analizzare le pratiche di mutualismo sociale sviluppate sul territorio del nostro Paese, identificarne i fattori propulsivi e le condizioni abilitanti, analizzarne i risultati raggiunti, anche al fine di comprendere le possibilità, e sotto quali condizioni, di ulteriori sviluppi di queste pratiche, traendo indicazioni per le politiche pubbliche chiamate a promuoverle e diffondere.
La realizzazione dell’Indagine è stata avviata con i primi due necessari passi: 1) la selezione di un campione di 112 casi, stratificati in base all’area di attività e al settore prevalente di attività, con una metodologia descritta in Allegato 1, dove viene anche presentata la lista dei casi estratti; 2) l’elaborazione del Questionario – non disponibile al fine di mantenere una attendibilità scientifica alle interviste – testato anche attraverso un’intervista pilota.
Le interviste richiedono la presenza di una ricercatrice sul campo e dovranno svolgersi entro il maggio 2021, in accordo con le realtà coinvolte e compatibilmente con l’evoluzione della crisi Covid-19. L’analisi delle risultanze delle interviste avrebbe luogo fra il giugno e l’ottobre 2021. I risultati verrebbero presentati e discussi con il secondo Seminario a cavallo fra 2021 e 2022.
Dal 2008 a oggi l’impatto della crisi e delle politiche di austerità ha aggravato una tendenza strutturale già in atto dagli anni ottanta a sacrificare gli obiettivi di giustizia sociale e riduzione delle disuguaglianze. Un approccio condiviso da amministrazione pubbliche, imprese ed organizzazioni sociali di ogni genere: come se non vi fosse più nessuna alternativa all’aumento delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale. In assenza di alternative ed innovazioni in ambito socioeconomico, ne sono usciti fortemente indeboliti non solo il welfare, già storicamente sottofinanziato ed a macchia di leopardo, ma anche i processi di partecipazione e inclusione sociale. La conseguenza è stata un aumento senza precedenti nella storia della Repubblica di povertà e disuguaglianze, economiche, sociali e di riconoscimento, a cui si accompagnano l‘impoverimento delle relazioni sociali, l’indebolimento delle comunità e il calo delle loro capacità di reazione. È in questo contesto che si sono moltiplicate le iniziative di natura civica e spontanea che hanno dato vita a pratiche di mutualismo solidale ed ecologico. In molti casi veri e propri servizi alla persona, in altri casi attività imprenditoriali capaci di stare sul mercato, punti di riferimento di natura comunitaria per un numero sempre più ampio di persone. Pur nella diversità delle pratiche ed esperienze, esse sono accomunate da alcune caratteristiche fondamentali che a questo stadio possiamo così rappresentare: reciprocità, solidarietà, azione collettiva, scambio differito. Siamo dinanzi a risposte che fanno emergere un nuovo campo costituito da nuove soggettività sociali, impegnate attraverso il mutualismo a ridefinire quasi in maniera inconsapevole forme di democrazia più efficaci e nuovi concetti di cittadinanza.
La crisi sanitaria ed economica causata dal Covid -19 ha allargato e sta allargando le disuguaglianze già esistenti, esponendo alla povertà relativa e assoluta la fetta di popolazione che viveva di lavoro precario, nero o “grigio” e che con l’arrivo del lockdown si è trovata senza reddito e garanzie. Il Covid non ci ha reso tutti uguali, anzi in assenza di risposte efficaci e di investimenti nella sanità pubblica, nella prevenzione e nella medicina territoriale ha colpito maggiormente i più fragili, gli esclusi e gli impoveriti dalla crisi di questi ultimi trenta anni. Questo ha spinto molte realtà sociali nate durante la crisi, insieme ad altri soggetti già preesistenti, a promuovere e poi strutturare diverse pratiche mutualistiche per dare risposte immediate alla crisi delle loro comunità: sia rafforzando esperienze già in essere, sia creandone di nuove al fine di dare risposte concrete in questo momento drammatico. Queste reti mutualistiche hanno dimostrato una capacità di lettura del modo in cui la crisi si manifestava nei territori e una capacità di intervento contestuale al dispiegarsi della crisi, mettendo in campo pratiche di solidarietà e cooperazione ma al tempo stesso ponendo interrogativi sull’adeguatezza delle risposte della politica e delle attuali forme della democrazia, e avanzando proposte.
Molti sono gli esempi di come queste pratiche, spesso autonome da forme codificate di organizzazione, non si limitino a integrare l’intervento pubblico o sopperire alle sue carenze ma ne sospingano la trasformazione. E di come, promuovendo nuove forme di partecipazione che rafforzano la cittadinanza attiva, ricostruendo relazioni comunitarie, queste pratiche contribuiscano all’affermazione di territori più coesi e inclusivi, tornando a dare valore alle aspirazioni fondamentali delle persone. Queste pratiche di mutualismo sono presenti in contesti diversi. Possono ritrovarsi all’interno di forme tradizionali di cooperazione. Possono esprimersi in modi nuovi, sotto forma di cooperative o Fondazioni di comunità che cercano strade originali di organizzazione, di rapporto tra privato, pubblico e sociale, e di rete. Ovvero, possono manifestarsi in modi fortemente legati a opportunità o emergenze territoriali e ricercare poi una connessione fra loro. È questo il caso delle 337 esperienze di mutualismo oggi collegate fra loro nelle Rete dei Numeri Pari e attive in molteplici campi di attività: produzione per il mercato, accesso al cibo, servizi fondamentali, cultura/sport/partecipazione.
Eppure, questo patrimonio di esperienze e di pratiche continua a non essere riconosciuto e accompagnato a livello di sistema. Se ne riconosce a volte, caso per caso, il ruolo di pratiche/strumento di coesione sociale e territoriale, in grado in alcuni casi persino di generare valore economico, di costruire opportunità di lavoro, in altri casi di rappresentare il solo argine al degrado della condizione umana, alle forti tensioni sociali che si accompagnano con le crisi, all’aumento della penetrazione mafiosa che mette in campo un welfare sostitutivo mafioso quando non vengono garantiti dalle istituzioni i diritti sociali. Da queste straordinarie esperienze e risposte nate dai soggetti sociali ovunque sul nostro territorio, non si traggono gli insegnamenti e le dovute conseguenze in termine di scelte politiche e amministrative. Le nuove pratiche di mutualismo rischiano quindi di restare precarie, di essere esposte alla volatilità delle circostanze e del ciclo politico, di non essere studiate per estrarne gli ingredienti che potrebbero consentire di rimuovere gli ostacoli alla loro diffusione e, più ancora, di coglierne il portato propositivo e innovativo – benché di lunga tradizione – sul piano dell’organizzazione sociale, della democrazia e della giustizia ecologica.
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