Le proposte per un nuovo umanesimo europeo capace di dare continuità ed evoluzione a quel progetto di Europa sociale fondato sui diritti sociali, il benessere per contrastare povertà e disuguaglianze.
La nostra Europa si sta velocemente trasformando rispetto al continente immaginato dai suoi fondatori. Uscivamo dall’incubo della guerra prodotta dal nazi-fascismo, e avevamo bene in mente quali fossero stati i mali che gli avevano dato forza. A partire dalla grande crisi del ’29, le cui conseguenze furono milioni di persone disoccupate, impoverite e un’esclusione sociale enorme, alla quale le forze politiche dell’epoca non seppero dare risposte, lasciando campo libero a quelle nazionalpopuliste. Queste costruirono il loro consenso, e le nostre sventure, sulla capacità di spostare le colpe della crisi e della loro stessa incapacità sui deboli, sugli ultimi, sui diversi e su qualsiasi differenza o pensiero mettesse in discussione la narrazione della storia. Rancore, odio verso il nemico e semplificazione dinanzi a una crisi complessa, invece che giustizia, libertà, pluralismo, inclusione e partecipazione. Sino alla banalità del male.
Per questo, quando si pose fine al dramma della guerra e il continente si liberò dalla cultura nazifascista, si decise subito di mettere al centro del paradigma di civilizzazione europeo l’intangibilità della dignità umana e il diritto all’esistenza per tutti e tutte, a prescindere da razza, cultura, colore della pelle, religione, provenienza, sesso. La mediazione tra economia di mercato e movimento operaio produsse la nascita dei cosiddetti Diritti Sociali, che avrebbero dovuto garantire concretamente la dignità di ogni essere umano, evitando che a causa degli effetti della competizione e del libero mercato si riproducessero situazioni in cui la maggioranza della popolazione venisse ridotta in povertà e la società fosse dominata dalle disuguaglianze. In tutte le Costituzioni del secondo dopo guerra l’elemento centrale è proprio quello della “dignità”. I diritti sociali hanno il compito di garantirla concretamente. Ne è meraviglioso esempio proprio la nostra Costituzione: strumento di governo per promuovere giustizia e libertà, per rendere concreta e durevole la pace, così da garantire il diritto all’esistenza per tutti e tutte.
Oggi viviamo una crisi che è molto, ma molto più grande rispetto a quella del ’29 e attraversiamo tempi segnati da disuguaglianze, ingiustizie sociali e ambientali profondissime, come mai avevamo conosciuto. Oltre 120 milioni di cittadini europei sono a rischio povertà e già decine di milioni sono in povertà assoluta, mentre la disoccupazione, la precarietà e il lavoro povero sono diventati la regola per troppi. Abbiamo a che fare con una nuova generazione di giovani che è stata definita la più impoverita di sempre in tempi di pace. Una generazione a cui stiamo non solo negando il futuro ma persino la possibilità di avere speranza. Attraversiamo una fase in cui le pulsioni sul campo tendono a ricordare tempi nefasti, ma proprio per questo tremendamente importanti per la nostra memoria e, dunque, per comprendere e intervenire sul nostro futuro. Perché è questo che ci sta a cuore, il futuro.
Il continente che i nostri padri fondatori e tutti coloro che hanno contribuito a liberare dall’orrore della guerra nazifascista hanno fondato sui diritti sociali e il benessere, oggi è segnato da politiche profondamente sbagliate e ingiuste che stanno facendo crescere povertà e disuguaglianze a livelli così gravi da aver fatto saltare già in molti luoghi la coesione sociale e il processo di partecipazione dei cittadini alle scelte politiche. Scelte che la maggior parte dei cittadini europei, secondo le inchieste fatte, vedono a esclusivo vantaggio delle élite economiche e finanziare, le uniche del resto a essersi arricchite dalle norme e dalle scelte fatte dalla governance di Bruxelles e di Francoforte.
In questo scenario e nell’assenza di visioni politiche capaci di ridare forza e passione al progetto di un’Europa sociale, libera e solidale, fondata sulla cooperazione tra i popoli ed ecologicamente orientata, sono le forze nazionaliste, xenofobe e antieuropee ad avanzare. La ricetta è sempre la stessa: spostare le responsabilità della crisi sui più deboli, sugli impoveriti, sui migranti, sui ricattabili, su coloro che non accedono alle informazioni e ai processi decisionali, nascondendo il furto di diritti e democrazia operato proprio da quelle stesse forze politiche che per anni hanno sostenuto le politiche di austerità, i tagli al sociale, la finanziarizzazione dell’economia, le controriforme sul lavoro, le privatizzazioni dei principali servizi basici e dei beni comuni. Gli scenari che abbiamo davanti in assenza di alternative efficaci sono: la nascita di un’Europa a due velocità con i paesi del sud sempre più in difficoltà oppure la disgregazione dell’Europa stessa a causa delle forze politiche di ispirazione neonazionalista.
Se non vogliamo accettare quest’esito, oggi più che mai abbiamo bisogno di costruire iniziative politiche, proposte e attività che diano forza e slancio a un nuovo umanesimo europeo, capace di dare continuità ed evoluzione a quel progetto di Europa sociale. Progetto messo in crisi da un lato dalla governance neoliberista di Bruxelles che ha provocato la crisi e dall’altro dalle forze nazionaliste e sempre più apertamente neofasciste che stanno speculando sull’aumento delle disuguaglianze, fomentando la guerra tra poveri, guardandosi bene da attaccare davvero le cause che l’hanno generata ma imputando le responsabilità ai poveri, ai migranti e al nemico di turno al nostro fianco.
Vogliamo confrontarci e lavorare con tutte le persone che non accettano questo schema, che non si sono arrese all’apparente impossibilità di cambiare le cose, che ritengono la vita sacra, e non la proprietà privata, il diritto all’esistenza un obbligo di civiltà e la povertà un crimine contro l’umanità. Per contribuire da subito a un’Europa capace di costruire nuove forme di cooperazione e politiche finalizzate a migliorare la vita di chi vive nel continente. Per questo abbiamo il dovere di guardare non solo alle politiche governative oggi in campo ma a tutto ciò che “di altro” si sta muovendo per progettare e rilanciare una visione di un’Europa nuova, che sappia rimettere al centro della ricostruzione democratica e sociale i diritti di coloro che abitano il nostro continente, partendo ovviamente da chi vive in condizioni di difficoltà e potrebbero – in assenza di speranza – lasciarsi sedurre dal virus dell’odio e del rancore come risposta ai nostri fallimenti collettivi.
Partire da chi è in difficoltà perché ce lo impongono le nostre coscienze e le nostre Costituzioni. Ma ce lo suggerisce anche il momento storico, se vogliamo disarticolare la guerra tra poveri. Le ultime trasformazioni produttive, l’assenza di investimenti sul lavoro, le politiche di austerità, l’incapacità di rispondere alla crisi ecologica attraverso un ripensamento della base produttiva e dei nostri consumi, hanno determinato condizioni di precarizzazione e impoverimento generalizzate. A questo, come abbiamo purtroppo visto nel nostro paese, si sommano l’assenza di adeguate forme di tutela sociale che hanno determinato un cambiamento nel conflitto sociale. A causa di una costante competizione al ribasso tra soggetti sociali impoveriti e senza diritti, viviamo una fase in cui il conflitto è orizzontale. Un conflitto che ha assunto le proporzioni di una guerra tra poveri. I non garantiti combattono contro i garantiti, chi ha pochi diritti se la prende con chi non ne ha per nulla, chi è più giovane incolpa chi è più vecchio di essere il nemico che impedisce il ricambio, coloro che sono nati qui e si trovano in difficoltà o vedono i loro diritti tagliati se la prendono con i migranti, accusati di essere un costo insostenibile e di rendere la nostra vita ancora più difficile. Si guarda insomma sempre a chi sta peggio, invece che capire insieme a chi sta male il perché della nostra condizione, di chi sono le responsabilità e, soprattutto, se ci sono alternative rispetto a quanto ci propone l’attuale fase politica che ci vuole privi di speranza e confinati tra la politica del rancore, la democrazia inefficace e incoerente del televoto o le suicide politiche di austerità delle forze allineate alla governance di Bruxelles.
Noi crediamo che queste alternative in Europa ci siano, ma bisogna dargli voce e gambe sulle quali camminare per raccontare con forza la verità su questi ultimi 10 anni. Perché senza verità non può esserci giustizia. Verità che invece sembra scomparsa dalle cronache politiche e spesso dai mass media, dando così forza a chi pensa davvero che in questa fase ci siamo entrati per casualità, congiuntura e soprattutto a causa dei migranti e dei poveri. Basti pensare ai tagli al welfare quando ci viene detto che i soldi non ci sono. Lo ha denunciato la campagna (IM)Patto Sociale portata avanti circa due anni fa da centinaia di realtà e associazioni della Rete dei Numeri Pari: in Europa in questi 10 anni di crisi sono stati tagliati in totale 2300 miliardi di euro dalle politiche sociali e dal welfare in generale. Una cifra enorme a cui si contrappongono gli oltre 3000 miliardi di euro destinati al salvataggio delle banche dopo la crisi finanziaria provocata proprio da un sistema bancario e finanziario speculativo fuori controllo ormai sganciato dall’economia produttiva.
Dopo 10 anni, non è stato messo nemmeno uno straccio di regole, niente di quello che è stato detto per evitare nuove bolle speculative è stato fatto e non sono state nemmeno imposti limiti alla diffusione di titoli tossici e derivati che continuano a essere scambiati a piene mani. Però ci viene raccontato che per il sociale non ci sono soldi e che se sei in povertà la colpa è tua e ti devi dare da fare. Una lettura tossica e bugiarda che va spezzata se vogliamo disarticolare la guerra tra poveri e trasformare la nostra rabbia in sete di giustizia orientando le nostre attenzioni e proposte verso chi sta in alto. Per questo continuiamo a dire che se vogliamo davvero sconfiggere disuguaglianze e povertà dobbiamo sganciare le spese sociali dal patto di stabilità messo in Costituzione con il governo Monti nel 2012 e con il voto favorevole di quasi tutto il Parlamento. Quella scelta oltre a essere un errore enorme e non essere stata certo chiesta dall’Europa, attuando le logiche perverse dell’austerità si traduce in un taglio alle politiche sociali e ai trasferimenti per i servizi dei Comuni (circa 16 miliardi da quando è entrato in vigore secondo i dati IFEL). Oggi i Comuni sono in piena crisi perché impossibilitati a svolgere il proprio compito di istituzioni di prossimità in una democrazia sempre più sbiadita e piegata agli interessi dei più forti.
Su questo vogliamo costruire e rafforzare alleanze per trovare risposte per far in modo che a livello europeo si possano mettere, ovunque, le spese per i servizi sociali essenziali fuori dal calcolo del deficit. Del resto, se Junker dopo la strage del Bataclan a Parigi disse che sarebbe stato possibile mettere le spese per le armi fuori dalle camicie di forza delle politiche di austerità e del Fiscal Compact, perché non lo si può fare per garantire i cosiddetti “fundamental social rights” su cui è nata l’Europa?
In questi ultimi anni sono state spostate enormi risorse economiche e finanziarie che prima erano destinate al sociale e al lavoro, dando vita alle cosiddette politiche di “workfare” avviate già dalla Tatcher. Sostegni alle imprese e obblighi stringenti per i percettori di sussidi e benefit sempre minori ai quali viene chiesto l’accettazione di lavori a basso salario destinati al nuovo esercito di disoccupati e precari. Dall’obbligo di garantire il diritto al lavoro, la piena occupazione e la dignità di ogni essere umano, alla necessità di rendere tutti occupabili in base alle necessità del mercato. Chi non è utile ad accrescere e garantire il mercato è fuori da ogni garanzia. Siamo passati da un’Europa sociale fondata sul “welfare” e su un mix di economia pubblica e privata, a un’Europa improntata al workfare, che nella sostanza significa anteporre gli interessi e le capacità di fare profitto delle imprese ai diritti sociali fondamentali. Siamo dentro un’unica visione dell’economia e della vita: il liberismo economico.
Le politiche di workfare pensate dalla Tatcher e diffuse ovunque con le politiche di austerità sono le stesse che il governo italiano ha realizzato approvando l’ultima manovra. Da un lato si annunciano misure che hanno il giusto obiettivo di combattere disuguaglianze e povertà, mentre in realtà nella sostanza altro non sono che misure che allargano le disuguaglianze e generano esclusione sociale e sfruttamento a vantaggio delle élite. Siamo in piena austerità nonostante la narrazione governativa. Completamente diverse le proposte che invece nascevano già nei primi anni ’90 grazie alle reti sociali, a numerosi intellettuali e studiosi che lavoravano per dare risposte capaci di mettere insieme il diritto al lavoro e il diritto al reddito, in un’epoca caratterizzata dalla precarietà, dal lavoro povero e dall’impossibilità di piena occupazione all’interno di un sistema produttivo obsoleto. Redistribuire il lavoro e il reddito per garantire a tutti dignità e capacità di accedere ai servizi e al mercato, con l’obiettivo di rigenerare e orientare i sistemi produttivi verso altre e più efficaci basi. A questo servono le proposte sul lavoro, sul diritto al reddito e sulla riconversione ecologica delle attività produttive. Dinanzi a una crisi economica, sociale e ambientale, non ha senso mettere in campo risposte parziali che non comprendono la complessità, l’interdipendenza e l’intreccio delle varie crisi. C’è bisogno di proposte capaci di rispondere contemporaneamente a questi aspetti, e le reti sociali in Europa lo hanno provato a fare, offrendo proposte concrete, coerenti ed efficaci alla politica.
A oggi purtroppo, le tante voci che chiedono un profondo ripensamento delle politiche di austerità e dei fondamenti politici della governance europea non hanno ricevuto una risposta adeguata, come accaduto riguardo l’istituzione di un diritto al reddito su scala continentale. Allo stesso tempo, è indispensabile e urgente individuare e garantire i livelli essenziali di prestazione per costruire una vera cittadinanza europea. Se non garantiamo un reddito per chi non lo ha ed è impossibilitato ad averlo, e non riconosciamo i livelli essenziali minimi di prestazione – i cosiddetti LEP – in tutti i paesi europei, come potremmo garantire il diritto all’esistenza per tutti e tutte e definirci parte di una stessa comunità fondata su uguali diritti e responsabilità? Bisogna avere il coraggio di avere più coraggio, dire le cose come stanno avendo fiducia nella verità e nella capacità di ricostruire un dibattito politico sui contenuti e sulle proposte in grado di rispondere alla nostra condizione materiale ed esistenziale.
Tra i nuovi diritti che vanno emergendo grazie alle reti sociali e al dibattito dei cittadini attivi, proprio il tema del diritto al reddito garantito ha assunto un valore centrale. Nato da un dibattito di base o di nicchia, negli anni della crisi è diventato un tema ineludibile per tutti, con il quale bisogna fare i conti. Purtroppo, nel nostro paese a causa delle vecchie ideologie, di uno storico classismo dei ceti dominanti e una cultura che cede alla lettura della crisi che considera gli ultimi e i poveri come pigri, oziosi e colpevoli, stiamo perdendo l’occasione di aprire un vero dibattito su una misura considerata sin dagli anni ’90 proprio dal PE un fondamentale “Pilastro Sociale” per garantire la dignità delle persone. L’esatto opposto della valenza e della funzione data dal nostro governo. La misura introdotta e impropriamente chiamata “reddito di cittadinanza”, nella sostanza è un modesto sussidio di povertà che rafforza politiche di workfare che hanno l’obiettivo di governare la povertà e fornire alle imprese vantaggi fiscali, obbligando i beneficiari ad accettare lavori anche a centinaia di km di distanza in cambio di salari da fame.
In realtà il reddito minimo garantito o di cittadinanza o di dignità, a seconda delle diverse declinazioni, rappresenta uno strumento essenziale oggi più che mai per rispondere alle sfide imposte dalla digitalizzazione dell’economia, dalla robotica, dalla precarizzazione della vita, dall’esplosione delle nuove povertà e dal ricatto esercitato dalle mafie su chi è in difficoltà attraverso il welfare sostitutivo che queste mettono in campo sfruttando l’assenza di misure adeguate dello Stato. Lo strumento del reddito è, per ammissione dello stesso Parlamento Europeo e delle istituzioni europee un pilastro sociale attraverso il quale promuovere nuove politiche economiche e redistributive, l’autodeterminazione delle persone e una nuova idea di partecipazione. Sostanzialmente uno strumento che ridefinisce la cittadinanza europea. Oggi infatti il 58% dei cittadini europei conosce le proposte e il 64% di questi è favorevole a costituzionalizzare un nuovo diritto economico come il diritto al reddito minimo garantito. Un fatto importante di cui bisogna che la politica tenga conto.
Per questo chiediamo alle forze politiche in PE di definire una normativa quadro e una Direttiva che introduca un reddito minimo garantito in tutti i paesi come diritto riconoscibile in egual misura da tutti i cittadini europei a prescindere dal paese in cui si trovano. Diverse risoluzioni negli scorsi anni hanno sostenuto questa proposta, senza però avere la forza di rendere “obbligatoria” questa misura nei paesi membri. Ora chiediamo alle istituzioni sovranazionali e alle forze politiche che si battono per un’Europa sociale, solidale ed ecologicamente orientata di avere il coraggio politico di promuovere proposte in grado di allargare e unificare i diritti, a partire proprio dal diritto al reddito garantito. In Italia la rete dei Numeri Pari attraverso centinaia di realtà, giuristi e studiosi del Basic Income Network e con l’adesione di decine di Comuni, porta avanti una piattaforma in 10 punti che renderebbe concreto anche nel nostro paese il diritto al Reddito. Per noi si tratta di un Reddito di Dignità. Purtroppo, la politica italiana non è ancora stata in grado di dibattere in aula queste proposte. Per questo chiediamo alle istituzioni sovranazionali e alle forze politiche del PE di promuovere una direttiva quadro che renda obbligatorio in tutti i paesi il Reddito garantito e provveda a finanziarlo, per esempio, attraverso la tassazione a livello continentale delle transazioni finanziarie. Una misura del genere da sola sarebbe un motore potente capace di contrastare le politiche di austerità, dare avvio a un’Europa Sociale 2.0 e spegnere l’incendio evocato dai nazionalisti attraverso la guerra tra poveri.
Un reddito minimo finanziato almeno in parte dell’Unione darebbe credibilità costituzionale alle tutele evocate dalla Carta dei Diritti europea. Si potrebbe creare uno specifico Fondo, eventualmente tra gli Stati dell’Eurozona, o anche attraverso il Piano di sviluppo della Commissione, per portare avanti misure che stabiliscano finalmente il quadro sociale minimo di tutti i cittadini dell’Unione. Così come previsto dai Pilastri Sociali Europei indicati da numerose risoluzioni e dalla stessa Commissione Europa: reddito minimo garantito, offerta di servizi sociali di qualità e diritto all’abitare. Sono questi i principali pilastri sociali che dovrebbero garantire la dignità e l’esistenza.
Una Direttiva che li renda obbligatori e finanziamenti adeguati attraverso la costituzione di un fondo che attinga, innanzitutto, a una tassazione sulle transazioni finanziarie rappresenterebbe una iniziativa politica concreta e forte capace di mettere insieme istituzioni rappresentative, reti sociali e cittadini, liberando energie, risorse, passioni e speranze. Coesione e solidarietà come previsto dal Manifesto di Ventotene, per dare nuove vita, forma e sostanza al progetto europeo. Il Parlamento Europeo il 19 gennaio del 2017 ha approvato una Risoluzione molto importante che volle dare concretezza ed effettività a quanto stabilito dalla Carta europea dei diritti fondamentali, riaffermando la necessità urgente di “un pilastro europeo dei diritti sociali”, condannando gli effetti iniqui e disgreganti delle politiche di austerità visti in netto contrasto con i valori e gli obiettivi dei Trattati.
È un passo avanti importante e coraggioso al quale però deve seguire l’impegno di tutti e di ciascuno per dare obbligatorietà e risorse adeguate a questa prospettiva. È questa una proposta sociale in grande di garantire giustizia, libertà e benessere, che ci consentirebbe di lanciare e vincere la sfida alle forze neonazionaliste.