Una campagna di informazione, formazione e autoformazione sulle conseguenze prodotte dalle politiche di austerità e sugli effetti disastrosi della modifica dell'articolo 81 della Costituzione voluta del 2012.
La legge costituzionale n. 1 del 2012 ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (“equilibrio tra le entrate e le spese”). Si tratta di una modifica costituzionale che è stata disastrosa per il nostro sistema economico, già fortemente danneggiato. La disoccupazione è aumentata oltre il 12% (quella giovanile oltre il 43%), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25% (rispetto all’inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2014 al 135% sul PIL che, in 10 anni di crisi, è sceso di oltre 10 punti.
In un quadro di recessione globale, nella zona euro il peggioramento dell’economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti in cui, nonostante una situazione di grande ambiguità dove nonostante la crescita economica le disuguaglianze e la povertà aumentano. Siamo dinanzi a una vera e propria emergenza sociale e democratica che non può continuare a essere elusa, ignorata e semplificata. I dati sono inequivocabili: l’indice Gini sulle diseguaglianze di reddito è aumentato da 0,40 a 0,51, dal 1990 al 2011, portando il nostro paese a essere quello con l’incremento peggiore d’Europa dopo la Gran Bretagna, in cui si registrava un indice dello 0,52; 1 persona su 3 è a rischio povertà, in particolar modo al sud; la povertà assoluta che colpisce più di 5 milioni di persone, triplicati negli ultimi 10 anni, così come il numero dei miliardari, arrivati a 342. Resta immutato all’11,5% l’indice di grave deprivazione materiale che colpisce le famiglie.
L’Istat denuncia come il sistema di trasferimenti italiano (escludendo le pensioni) non sia in grado di contrastare la dinamica di costante impoverimento, che colpisce soprattutto donne, minori, famiglie monoparentali e migranti già residenti. Il progressivo deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha contribuito in maniera determinante all’aumento vertiginoso delle diseguaglianze, colpendo soprattutto giovani; mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l’Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell’austerità.
A partire dalla primavera 2010, sono stati varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi e simultanei, concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta dalle politiche di austerità; è sostanzialmente l’analisi delle cause profonde della crisi a essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l’aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (PIL) nei Paesi periferici è stato solo leggermente superiore alla media della zona euro. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici.
I risultati di queste politiche economiche sono stati largamente fallimentari. Va ricordato che le politiche di austerità in Europa hanno portato alla stagnazione e alla depressione economica. La disoccupazione è cresciuta del 40%, gran parte dei paesi della zona euro è stata colpita dalla recessione e – nonostante le politiche dei tagli – il debito pubblico è cresciuto mediamente dal 65% (in rapporto al PIL) del 2008 al 95% del 2013.
D’altra parte, è sbagliata la premessa: pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall’aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall’esperienza pratica (Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo e l’austerità porterà quindi a un calo del PIL maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l’obiettivo della riduzione del rapporto tra debito e PIL. Diversi documenti dell’Unione europea testimoniano una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all’oligarchia dell’Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde di fatto solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali, che di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa. Tra il 1976 e il 2006 la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul PIL è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67% al 57% circa. In Italia è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro.
In sede europea si sono prodotti una serie di documenti (Trattati, regolamenti, raccomandazioni, lettere) indirizzati a perseguire la politica del “rigore” che si è dimostrata fallimentare. Molte le sollecitazioni rivolte ai singoli Stati affinché adottino normative restrittive delle spese e limitative dei diritti (sociali in specie). Alcuni vincoli sono stati introdotti (Patto Euro plus e Six Pack entrambi del 2011, Fiscal compact – “Trattato di stabilità – del 2012, Two Pack del 2013), nessuno dei quali però ha “imposto” una modifica costituzionale ai Paesi sottoscrittori dei nuovi Trattati o soggetti alla normativa comunitaria. Lo stesso Fiscal compact – al quale, in base alla retorica dominante, si imputa la scelta di modificare la Costituzione introducendo il principio di pareggio – ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti “tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente”, ma con una semplice indicazione di “preferenza” per il livello costituzionale (art. 3, comma 2). La scelta dunque di “costituzionalizzare” il principio del pareggio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell’ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo.
Sarebbe necessario che il Governo sostenesse in sede europea la radicale modifica della normativa sulla convergenza dei bilanci, una delle cause della recessione, concordando con i partner europei misure sostanziali a favore di un modello economico fondato sulla sostenibilità sociale, ambientale ed ecologica, a partire da una europeizzazione non parziale del debito sovrano, almeno per la quota che supera il 60% del PIL, secondo le proposte avanzate da diversi economisti anche italiani. Sarebbe necessario chiedere nell’immediato lo slittamento della scadenza per il raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali e per l’avvio della riduzione dello stock del debito o per l’esclusione di alcune spese per investimenti dai saldi del patto di stabilità.
È auspicabile, inoltre, un’ampia mobilitazione politica e una seria riflessione culturale in grado di proporre politiche sociali di tutela dei diritti fondamentali. Recuperando una progettualità che ponga i diritti e l’intangibilità della dignità umana al centro della costruzione del sistema politico e istituzionale in ambito sia europeo sia nazionale.
Eliminare il pareggio di bilancio per garantire diritti fondamentali e rilanciare il paese.
Il primo indispensabile passo in questa direzione deve compierlo il Parlamento, attraverso l’eliminazione del principio del pareggio di bilancio dalla Carta costituzionale. Non avrebbe, infatti, alcun senso cambiare le regole a livello europeo e poi rimanere vincolati da quanto stabilità dalla Costituzione italiana. Ma vi è di più.
Quel che con la campagna vuole promuovere è la riaffermazione di un corretto equilibrio tra principi costituzionali. L’intero costituzionalismo moderno ha, infatti, preteso una tutela privilegiata dei diritti fondamentali delle persone. Pretesa che non può essere abbandonata in nessuna contingenza economica, neppure nelle fasi avverse del ciclo economico. In ogni caso il rispetto dei diritti fondamentali delle persone deve essere perseguito, anche nei casi di più rigorose manovre di contenimento dei disavanzi pubblici.
Considerata l’importanza della sfida la campagna lavora per costruire una grande alleanza che metta insieme soggetti sociali, istituzionali, reti e cittadini per arrivare ad una proposta di modifica della legge costituzionale che opererebbe nel pieno rispetto dei (reali) vincoli contratti dall’Italia a livello europeo: si ritiene, infatti, che il principio costituzionale della necessaria salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone sia assicurato nel rispetto dei vincoli di bilancio fissati nella legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica. Una normativa nazionale “di natura permanente”, così come richiesto dal Trattato di stabilità.
La campagna si propone, dunque, di mettere in campo consapevolezza e strumenti necessari a cancellare il principio del pareggio di bilancio, tornando a collegare le politiche di bilancio dello Stato alla salvaguardia dei “diritti fondamentali delle persone” come stabiliti dal nostro ordinamento costituzionale. Il principio costituzionale di salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone deve evidentemente impegnare l’intero Stato apparato ed essere garantito sull’intero territorio nazionale. Deve dunque coinvolgere – oltre lo Stato centrale – tanto l’insieme delle pubbliche amministrazioni, quanto ogni altro livello di governo.
Le politiche di austerità imposte a livello comunitario e i vincoli di bilancio introdotti nella nostra Costituzione incidono pesantemente sulle nostre vite e sui nostri diritti. Scegliere come priorità il contenimento della spesa pubblica, costi quello che costi, significa subordinare la garanzia di diritti e servizi fondamentali alle regole che impongono l’equilibrio dei conti pubblici.
La domanda che dobbiamo porci è: in tempi di crisi vi è o no la necessità di salvaguardare i diritti fondamentali, in particolare per i soggetti più deboli? Diritti sociali fondamentali come quello alla salute, all’istruzione, alla cura e all’assistenza sociale possono essere sacrificati sotto la scure del pareggio di bilancio? Secondo noi no.
Le spending review lineari si abbattono innanzitutto sugli ospedali e sulle cure mediche, sul personale sanitario, sulle scuole, sui docenti e sugli insegnanti di sostegno, sui servizi di assistenza per i nostri anziani, sul libero accesso e sulla qualità delle nostre università.
Siamo noi a pagare la crisi generata non dalla finanza pubblica ma dalle speculazioni di quella privata, da un modello economico e sociale, quello neo-liberista, che garantisce gli interessi dei più ricchi e si accanisce sui diritti dei più poveri, allargando progressivamente le diseguaglianze economiche e sociali.
È necessario ribaltare le priorità e cambiare il paradigma culturale, economico e sociale che produce povertà, iniquità e ingiustizia e ha trasformato i diritti di tutti in privilegi di pochi. Tale trasformazione non può che partire dal basso e avere tempi lunghi perché richiede un nuovo patto culturale per la ridefinizione collettiva e partecipata del ruolo, delle funzioni e delle finalità dell’economia e della finanza nella società contemporanea e il rovesciamento dell’attuale rapporto di egemonia e di dominio dei poteri economici sulla politica e sulla società.
La campagna “La via maestra” si pone dunque nel medio termine i seguenti obiettivi:
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.
Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese provvede ai mezzi per farvi fronte. La legge generale sulla contabilità e la finanza pubblica definisce i vincoli di bilancio nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone.”
Art. 2
All’articolo 97 è apportata la seguente modifica: al termine del primo comma sono aggiunte le parole “nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone”
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.”