Comuni sciolti per mafia, dalle difficoltà alla “terza via”

Undici enti commissariati per mafia nel 2020, dal 1991 uno ogni 31 giorni. Il ministero dell’Interno evidenzia i rischi finanziari, mentre da tempo si parla di riforma

6 gennaio 2021 – Avviso Pubblico – Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie

Ogni mese in Italia la mafia provoca lo scioglimento di un ente locale, una media rispettata anche nel 2020 con undici dissoluzioni in dodici mesi. Questo meccanismo, introdotto nel nostro ordinamento nel 1991 con un decreto-legge abrogato, poi modificato ora compiutamente disciplinato dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali o Tuel (artt. 143-146 del decreto legislativo n. 267 del 2000), solleva nuove riflessioni. Da una parte il ministro dell’Interno, nell’ultima relazione sugli enti commissariati, sottolinea le difficoltà finanziarie. In parlamento si discute dell’introduzione di una “terza via” a metà tra archiviazione e dissoluzione.

Cinque milioni di cittadini “commissariati” per mafia

Sono stati 351 i provvedimenti dissolutori adottati nel corso di quasi trent’anni di applicazione della normativa, alla media di uno ogni 31 giorni. Nel solo 2020 sono stati undici gli scioglimenti disposti con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, al termine di un complesso procedimento di accertamento, effettuato dal prefetto competente per territorio, attraverso un’apposita commissione di indagine (detta commissione d’accesso).

I 351 scioglimenti non corrispondono ad altrettanti enti locali. Infatti, ben 68 amministrazioni hanno subito più di un provvedimento: cinquanta comuni sono stati sciolti in due occasioni, altri diciotto addirittura tre volte: quindi gli enti locali sciolti per mafia almeno una volta dal 1991 ad oggi sono stati 265, tra cui un capoluogo di provincia – Reggio Calabria nel 2012 – e sei aziende sanitarie e ospedaliere. In questi territori vivono circa cinque milioni di persone, l’8% della popolazione residente in Italia.

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Il Nord non è immune

Oltre il 95% degli scioglimenti si è verificato nei territori di nascita delle cosiddette quattro mafie “storiche”, ma il Centro-Nord non è mai stato immune al fenomeno, prova evidente – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che il radicamento mafioso al di fuori dei territori di origine è iniziato diversi decenni or sono. Bardonecchia (Torino) fu il primo Comune sciolto per mafia al Nord nel 1995. Da allora sono state colpite anche Lazio, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna e, new entry del 2020, la Valle d’Aosta con lo scioglimento a febbraio del Comune di Saint-Pierre.

 

 

 

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Perché si giunge allo scioglimento

Condizione dello scioglimento è l’esistenza di elementi “concreti, univoci e rilevanti” su collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali o su “forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali”, incidendo negativamente sulla funzionalità dei servizi a queste affidati, oppure in grado di originare un “grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Per giungere allo scioglimento non è necessario che siano stati commessi reati perseguibili penalmente o che siano disposte misure di prevenzione, essendo sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata. Gli indizi raccolti devono essere documentati, concordanti tra loro e indicativi dell’influenza del crimine organizzato sull’amministrazione, valutazioni realizzabili attraverso una puntuale analisi della legittimità degli atti adottati dall’ente locale. L’indagine può riguardare anche il comportamento dell’apparato amministrativo (segretari comunali, dirigenti e dipendenti), in ragione delle rilevanti responsabilità e competenze attribuite alla burocrazia locale dalla legislazione vigente.

Mafia uguale dissesto finanziario

Lo scorso mese di maggio il ministero dell’Interno ha trasmesso al parlamento l’annuale relazione sull’attività svolta dalle commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso.

Dalle cento pagine del report emerge un quadro estremamente preoccupante. La quasi totalità degli enti commissariati versa in condizioni finanziarie precarie, col rischio di una maggiore vulnerabilità rispetto a ulteriori tentativi di infiltrazione mafiosa, mentre oltre un quarto dei comuni sciolti per condizionamento o infiltrazioni criminali, ha dichiarato il dissesto finanziario o avviato la procedura predissesto, spalmando sulla popolazione, ma anche sulle generazioni future, il peso economico della crisi strutturale dei bilanci, causata anche dalla mancata difesa dell’interesse pubblico e del ripristino della legalità.

Al netto dei comportamenti illeciti, il danno economico subìto è un evidente aumento delle aliquote e delle tariffe di base delle imposte locali e tagli ai servizi. Urbanistica, edilizia e lavori pubblici sono i settori più permeabili ai condizionamenti criminali, nei quali – come avverte il Viminale – è sentita maggiormente “l’esigenza di ripristino della legalità e di adeguati livelli di efficienza dell’azione amministrativa”.

I tentacoli sulla Sanità: il caso Calabria

Ben prima della diffusione del Covid-19, le organizzazioni criminali di stampo mafioso avevano messo nel mirino i sistemi sanitari locali, mettendoli a profitto.

Il 16 ottobre 2005 a Locri il vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno venne ucciso con cinque colpi di pistola. Omicidio eccellente e volutamente mediatico: Fortugno, un medico, viene freddato nell’atrio di palazzo Nieddu, seggio elettorale quel giorno delle primarie di centrosinistra. La “colpa” di Fortugno è quella di aver ottenuto un risultato inaspettato pochi mesi prima, alle elezioni regionali, con oltre 8mila preferenze. I mandanti dell’omicidio, condannati in Cassazione, erano contigui al clan Cordì e sostenevano un altro candidato, il quale sarà poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo “Onorata Sanità”.

Un anno dopo l’omicidio Fortugno l’Asl 9 di Locri viene commissariata per mafia: studi medici e laboratori di analisi erano controllati dalle potenti ‘ndrine locali (tra cui Nirta e Morabito), mentre diversi familiari dei boss erano perfettamente inseriti nel sistema come specialisti e medici.

Oggi due aziende sanitarie provinciali calabresi – Reggio Calabria e Catanzaro – sono commissariate per mafia. In merito all’Asp di Reggio Calabria, già sciolta una prima volta nel 2008, la relazione del Viminale sottolinea come la crisi sia così complessa da non riuscire a quantificare con esattezza l’entità del danno, costituito da un contenzioso “incontrollabile” a causa di un “impenetrabile” disordine amministrativo.

I soli interessi legali e moratori, legati alla gestione scomposta ammontano a circa 400 milioni di euro. Senza contare le disastrose condizioni in cui versano molti dei presidi sanitari che gravitano intorno all’azienda, specchio della situazione di tutta la sanità regionale, commissariata dallo Stato da oltre dieci anni.

La “terza via” per migliorare la legge

Da tempo si discute di una riforma della legge sullo scioglimento delle amministrazioni locali. Alcuni bocciano l’attuale normativa, ritenendola un’ingiustificata e illegittima sospensione della democrazia, per giunta inefficace, dato che alcune amministrazioni sono state sciolte più volte nell’arco di pochi anni.

In merito alla legittimità degli scioglimenti va ricordato che essi sono oggetto di numerosi ricorsi ai tribunali amministrativi regionali (Tar) e al Consiglio di Stato. Ad oggi dei 351 scioglimenti sopra citati ne sono stati annullati 23, appena il 6.5% del totale. Inoltre la procedura di scioglimento ha superato il vaglio di legittimità della Corte costituzionale in diverse sentenze, l’ultima delle quali è la n.182 del 2014.

Un altro fronte ritiene, al contrario, che la normativa vigente non vada rinnegata ma sia certamente migliorabile. La Commissione Antimafia, nella relazione conclusiva della precedente legislatura, ha proposto di inserire nell’ordinamento la cosiddetta “terza via”, un’alternativa per i casi meno gravi di condizionamento mafioso dell’ente locale e che si situa nel mezzo tra l’archiviazione (quando la commissione d’accesso, pur ravvisando alcuni elementi critici, ritiene che non siano sufficienti per decretare il provvedimento dissolutorio) e lo scioglimento. “Nelle situazioni per così dire borderline si potrebbe pertanto ipotizzare la nomina di una commissione di affiancamento che accompagni l’ente nel suo percorso di risanamento e faciliti l’adozione di tutte le misure idonee, senza che l’ente locale debba essere necessariamente commissariato e affidato all’amministrazione temporanea di funzionari dello Stato” si legge nella relazione dell’Antimafia.

Un primo tentativo di riforma in tal senso, inserito nel decreto 113 del 2018, è stato dichiarata illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza 195 del 2019. Non è una bocciatura tout court della “terza via”: la sentenza della Consulta ha ritenuto illegittimo il modo in cui il decreto incideva sull’autonomia degli enti locali. Pertanto, in accordo con quanto stabilito dalla Corte costituzionale, la “terza via” continua a rappresentare un auspicabile affiancamento dell’ente nei casi in cui non sia ipotizzabile lo scioglimento, attraverso una più puntuale determinazione dei presupposti e dell’ambito applicativo dell’intervento di sostegno.

È un punto su cui potrebbe intervenire il parlamento, che in commissione Affari costituzionali alla Camera sta vagliando dall’inizio della legislatura due proposte di legge sul tema. La pandemia ha rallentato i lavori della Commissione, da poco ripresi con una nuova serie di audizioni. Tra gli auditi anche Avviso Pubblico, la quale sul finire del 2019 aveva depositato una relazione che sintetizza alcuni degli aspetti ritenuti più significativi che la riforma potrebbe contenere.

  1. Un ampliamento delle attuali forme di trasparenza relative all’iter che porta allo scioglimento di un ente locale. Assieme alle relazioni del Ministro dell’Interno e del Prefetto, dovrebbero essere accessibili all’opinione pubblica anche quelle redatte dalle Commissioni di accesso. E ciò anche nell’eventualità in cui non si proceda allo scioglimento, in modo tale da esplicitare le ragioni che hanno determinato l’archiviazione e sollecitare le forze politiche a rivolgere maggiori attenzioni alle zone d’ombra comunque emerse.

  2. Dare risalto alle concrete misure di risanamento adottate dalle commissioni straordinarie, consentendo così di chiarire alla cittadinanza le tappe del processo di ripristino della legalità nei differenti contesti.

  3. Prevedere una forma di comunicazione ufficiale dell’avvio della procedura di accesso, anche per mezzo del semplice invio di un’apposita comunicazione alle Camere e concedendo al Sindaco la facoltà di inviare una memoria scritta contenente possibili controdeduzioni.

  4. Adottare misure tese a dotare i commissari di personale aggiuntivo e/o sostitutivo, ipotizzando un sistema di rotazione da applicare non all’interno di un singolo ente, bensì tra enti diversi.

  5. Estendere la fattispecie dello scioglimento alle società partecipate da Regioni ed Enti locali e ai consorzi pubblici anche a partecipazione privata.

Affinare l’attuale normativa può risultare particolarmente determinante in questo difficile periodo storico. Scrive, nella sua ultima relazione, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dnaa): “Buona parte dell’espansione economica delle mafie passa per gli affidamenti pubblici”, si legge nel documento dove si nota come “soprattutto in una persistente congiuntura economica quale quella che il nostro paese da tempo sta affrontando – e che è destinata ad aggravarsi enormemente a seguito del lockdown imposto per la pandemia da Covid19 – l’impresa che risulta affidataria, o che partecipa ad una commessa pubblica, è in grado di generare importanti ricadute sul tessuto sociale”.

In questa ottica “l’aggiudicazione dello svolgimento di un servizio o della realizzazione di lavori pubblici consente di stipulare subcontratti, di offrire posti di lavoro, di gestire i contratti di nolo e di fornitura, e dunque di fidelizzare all’organizzazione mafiosa un numero rilevante di persone. E proprio attraverso […CONTINUA A LEGGERE SU LaVialibera]

 

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