Trasformare tutto, per non cambiare nulla

Riconversione ecologica e transizione energetica sono diverse e incompatibili tra loro. La prima trasforma il mondo, la seconda lo riproduce con qualche modifica

21 febbraio 2022 Lavialibera | Giuseppe De Marzo Coordinatore nazionale Rete dei Numeri Pari

Ecologisti e ambientalisti hanno parlato per 40 anni di riconversione ecologica e non di transizione ecologica. Perché? Ci sono delle differenze? Ebbene sì, e profonde. La parola transizione indica semplicemente il passaggio da una situazione a un’altra, senza esprimere un giudizio critico sulla situazione da cui ci si allontana: si transita da A a B, come in fisica quando si passa da uno stato a un altro. Diverso è il significato di conversione che implica un netto mutamento di fede (non solo religiosa) o di opinione, una trasformazione che recide il legame con il passato. Questa è la ragione per cui chi si occupa di questioni ambientali e di ecologia delle conoscenze ha sempre utilizzato il concetto di conversione ecologica e non certo di transizione.

Il primo ad associare alla parola ecologia il sostantivo femminile conversione è stato Alex Langer: indicava nel cambiamento dei nostri stili di vita un obiettivo irrinunciabile. Lavoro, consumo, produzione, educazione, formazione, ricerca, relazioni tra esseri umani e altre entità viventi, tutto andrebbe convertito in chiave eco-logica. Lo studio della casa comune ci ha aiutato nel secolo scorso a comprendere l’importanza dei nostri ecosistemi, le modalità con cui la natura si rigenera e si organizza, mettendo a disposizione di tutte le creature viventi, esseri umani inclusi, risorse, opportunità e spazi bioriproduttivi per una vita libera, giusta e dignitosa. Ricordava Gandhi che la Natura offre le risorse necessarie per soddisfare tutti i nostri bisogni, ma non i nostri egoismi. La riconversione ecologica quindi non affida al mercato e all’innovazione tecnologica le possibilità di cambiamento, come fa invece la transizione, ma rappresenta la risposta politica (che manca) alla crisi sociale ed ecologica causata dall’insostenibilità del modello economico dominante.

La ricoversione è più di un passaggio

Il paradigma di riferimento della conversione ecologica è la sostenibilità. Ma la nostra conversione culturale ne è la precondizione. Essere consapevoli che la vita è una rete di vite interconnesse è il primo passo della nostra riconversione culturale. Non possiamo consumare, estrarre, produrre e inquinare di più rispetto a quanto la Natura non sia in grado di generare, rigenerare, organizzare e auto-organizzare in un ambiente chiuso e finito. Il modo migliore per garantire le nostre vite e le generazioni che verranno sta proprio nel riconoscere diritti e spazio vitale anche alle altre specie viventi. Per questo la riconversione ecologica interroga il tema della quantità, obbligandoci a perseguire l’eco-sufficienza, non solo l’eco-efficienza. Significa riconvertire le attività produttive e la filiera energetica utilizzando sempre meno materie prime ed energia. L’autolimitazione è un valore della riconversione, mentre non lo è nella transizione esclusivamente orientata a far crescere l’economia. Non dimentichiamo che anche l’alterazione dei processi di trasmissione di nuove patologie, come il Covid-19, sono una conseguenza del collasso climatico. La riconversione ecologica orientata al paradigma della sostenibilità ci permetterebbe di rispondere ai rischi legati alla diffusione di nuovi virus. La nostra impronta ecologica va ricondotta nei limiti delle capacità di autorigenerazione e autorganizzazione della Terra se vogliamo migliorare la nostra salute. A questo serve riconvertirsi: a rientrare nell’unica logica possibile, quella del pianeta.

La riconversione è dunque un processo di cambiamento culturale che ci interroga nel profondo, a partire dal modello di sviluppo e dai nostri stili di vita. Mette in discussione il dogma della crescita economica infinita e interroga nel profondo le nostre coscienze, disorientate e spesso complici di una cultura antropocentrica che si nutre di esclusione, individualismo, egoismo e violenza.

Il totem della crescita a qualunque costo

La transizione ecologica proposta dal governo Draghi continua invece, tristemente, a stagnare nella palude della crescita economica. Ci viene chiesto di spostarci dalla sponda A alla sponda B, senza alcun cambiamento culturale, perché non si intende abbandonare il modello economico liberista. Anzi, come sempre avvenuto in passato, si propone di sfruttare le opportunità fornite dalla crisi per generare una nuova fase di accumulazione. L’ultima decisione della Commissione europea di inserire nella tassonomia verde tra le energie rinnovabili anche il nucleare e il gas va in questa direzione. Non bisogna essere ecologisti per definire folle e vergognosa questa decisione. Su questa sciagurata decisione il governo Draghi è rimasto in silenzio, dimenticandosi anche dei due referendum che nel nostro Paese hanno sonoramente bocciato il nucleare.

Gli interessi economici e finanziari legati al necrocapitalismo sono stati capaci in questi mesi di svolgere un’azione di pressione sulla politica senza precedenti, impedendo che i fondi del recovery plan venissero davvero usati per promuovere la riconversione ecologica. L’aumento deliberato dei prezzi del gas e dei derivati dal petrolio è un esempio di come la lobby degli inquinatori riesca a condizionare le scelte europee, rinviando la sostituzione dei combustibili fossili. La riconversione ecologica di cui abbiamo bisogno e la transizione energetica proposta dal premier Mario Draghi e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sono completamente diverse e incompatibili tra loro. O promuoviamo la giustizia sociale e ambientale o garantiamo gli interessi delle lobby e della cricca di uomini grigi al loro servizio.

Il problema centrale della riconversione è organizzare e aggregare comportamenti collettivi, gli unici in grado di incidere nella realtà. Per farlo, il coinvolgimento di lavoratori e comunità territoriali è indispensabile. Il ritorno alla normalità di prima, tanto cara a Confindustria, non porterà lavoro, reddito, salute e libertà, ma l’esatto opposto. Per questo la riconversione ecologica deve essere pianificata (pubblica), inclusiva (giusta per i lavoratori), equa (promuovere giustizia ambientale ed essere pagata da chi inquina), partecipata (le comunità vanno coinvolte), decentrata. Se volessimo utilizzare i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la riconversione ecologica seguendo i principi e le modalità indicate, potremmo uscire finalmente dal tunnel della crisi, co-programmando e co-progettando con le comunità territoriali, gli enti locali, le reti sociali che hanno lavorato sull’ecologia della conoscenza. Potremmo generare lavoro buono e di qualità, rispondendo allo stesso tempo alla crisi sanitaria ed ecologica.

https://lavialibera.it/it-schede-855-trasformare_tutto_per_non_cambiare_nulla

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