Il reddito di cittadinanza del M5s. Welfare o workfare? – il Salto

Cronisti politici e fini analisti da ore vanno cimentandosi nel racconto di un’Italia che, soprattutto al Sud, si è fatta convincere dal “reddito di cittadinanza” del Movimento 5 stelle. Analisi comoda e scontata. Ipotizzare una sorta di “voto di scambio” sul terreno della crisi e dell’inoccupazione è un gioco semplice, di immediato seguito, di base per la chiacchiera da bar. Poi, però, basta chiedere a chi la campagna elettorale l’ha seguita in strada per capire come del “reddito di cittadinanza”, nella realtà, fuori dai social network e da qualche studio televisivo, non c’è quasi traccia.

«Il Movimento 5 stelle ha vinto al Sud perché ha promesso il reddito di cittadinanza» è la frase più abusata. Da qui la domanda ironica di Antonio Musella, cronista di Fanpage: «Ma l’avete seguita la campagna elettorale? Nemmeno a Pomigliano, alla sua prima uscita da vincitore, Di Maio ha parlato di reddito di cittadinanza». Al centro del suo intervento, invece, c’erano i tre pilastri elettorali del Movimento: abolizione dei vitalizi, riduzione degli stipendi dei parlamentari, taglio di 30 miliardi della spesa pubblica intervenendo sugli sprechi. Del reddito di cittadinanza nessuna traccia.

Eppure ovunque si parla di dare i soldi a chi non lavora. Sbagliando lettura, come spiega Roberto Ciccarelli in un lungo articolo su il Manifestonon c’è alcun welfare nella proposta grillina ma puro workfare.

Il reddito immaginato dal M5s è «essenzialmente una politica neoliberista autoritaria basata su un’estremizzazione delle “politiche attive”, stella cometa di tutte le politiche del lavoro di oggi». Tradotto: «Il povero, il precario, il disoccupato devono mostrare la disponibilità a partecipare al grande gioco al massacro del lavoro povero in cambio di un sussidio». Che dire, un capolavoro: partorire un dispositivo liberista, lavorista, facendolo passare per un intervento sociale, di welfare. «Perché il “reddito di cittadinanza” – spiega il giornalista autore del libro Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale (ed. Derive Approdi) – promette formalmente una libertà e coinciderà, quando e se sarà applicato, con il suo opposto: l’auto-sfruttamento di masse impegnate a strappare il sussidio in cambio della disponibilità a un lavoro qualsiasi».

Tanto basta per tutte le forze “lavoriste”, sinistra di centro in primis, per ritenerlo impossibile da sostenere a livello economico senza minimamente entrare nell’analisi dello strumento. Paradossalmente dovrebbe essere proprio il Partito democratico a sostenere questa misura che chiuderebbe perfettamente il cerchio con quanto previsto dal Jobs act prima e dal Reddito di inclusione sociale poi. Perché «quello del M5s può essere persino considerato un “lavorismo” al cubo, un’intensificazione del progetto neoliberale presupposto alle stesse politiche attive abbozzate da Renzi. (…) Il problema è che, oggi, la “sinistra” non lo ha capito (…) il paradosso è che se lo capisse, sarebbe persino d’accordo».

Perché una cosa è il reddito universale, individuale, incondizionato, sganciato dal ricatto del “lavoro qualsiasi”. Una cosa è un reddito erogato dietro condizioni fortemente lavoriste. Quello del Movimento 5 stelle è più un ammortizzatore sociale che una vera misura di welfare. Vediamo perché.

Come funziona il reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle e chi ne ha diritto.

Chi avrebbe diritto al reddito di cittadinanza del Movimento 5 stelle? E come funziona? Tutto parte dall’analisi dell’Istat: povero, in Italia, è (sarebbe) chi vive – da solo – con meno di 780 euro al mese. Una soglia, primo punto di contatto con il Rei e primo elemento di “non welfare individuale” come dovrebbe essere un vero reddito di base, che invece varia a seconda dei componenti della famiglia. Se uno dei due componenti familiari guadagna, ad esempio, 1.000 euro al mese all’altro componente spetterebbero solo 560 euro (780 x 2 – 1000).

I requisiti per avere diritto al reddito di cittadinanza sono tre:
– avere più di 18 anni;
– essere disoccupati o inoccupati;
– avere un reddito (di lavoro o pensione) inferiore alla soglia di povertà in Italia stabilita dall’Istat (oggi 780 euro).

Il problema sta nell’elenco di regole che bisogna seguire per mantenere il diritto al sussidio: è qui che sparisce il welfare, sostituito dal workfare.

1. Il beneficiario, esclusi i soggetti in età pensionabile, deve fornire immediata disponibilità al lavoro presso i centri per l’impiego.
2. Entro sette giorni dovrà intraprendere un percorso di accompagnamento all’inserimento lavorativo.
3. Il beneficiario ha l’obbligo di comunicare tempestivamente agli enti preposti ogni variazione della situazione reddituale, patrimoniale, lavorativa, familiare che comporti la perdita del diritto a percepire il reddito di cittadinanza o che comporti la modifica dell’entità dell’ammontare del reddito di cittadinanza percepito. Il beneficiario, anche nel periodo in cui sussiste il diritto al beneficio, è tenuto a rinnovare annualmente la domanda di ammissione.
4. «In coerenza con il profilo professionale del beneficiario e (…) in base agli interessi e alle propensioni emerse nel corso del colloquio sostenuto presso il centro per l’impiego, il beneficiario è tenuto ad offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti gestiti dai comuni, utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il medesimo comune di residenza o presso quello più vicino che ne abbia fatto richiesta, mettendo a disposizione un numero di ore compatibile con le altre attività del beneficiario stabilite dalla presente legge e comunque non superiore al numero di otto ore settimanali».

Obblighi per mantenere il diritto al reddito di cittadinanza.

1. Fornire disponibilità al lavoro presso i centri per l’impiego e accreditarsi sul sistema informatico nazionale per l’impiego.
2. Sottoporsi al colloquio di orientamento.
3. Accettare espressamente di aver avviato un progetto individuale di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro.
4. Seguire il “percorso di bilancio previsto” e redigere, con il supporto di un operatore, il “piano di azione individuale funzionale all’inserimento lavorativo”.
5. Svolgere con continuità un’azione di ricerca attiva del lavoro «documentabile attraverso l’accesso al sistema informatico nazionale per l’impiego e la registrazione delle azioni intraprese anche attraverso l’utilizzo della pagina web personale». L’azione di ricerca attiva del lavoro non può essere inferiore a due ore giornaliere.
6. Recarsi almeno due volte al mese presso il centro per l’impiego.
7. Accettare espressamente di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale. Tali corsi si intendono obbligatori.
8. Sostenere colloqui psico-attitudinali ed eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione.

Cause di decadenza del beneficio del reddito di cittadinanza

1. Non ottempera agli obblighi.
2. Sostiene più di tre colloqui di selezione con palese volontà di ottenere esito negativo, accertata dal responsabile del centro per l’impiego attraverso le comunicazioni ricevute dai selezionatori o dai datori di lavoro.
3. Rifiuta più di tre proposte di impiego ritenute congrue.
4. Recede senza giusta causa dal contratto di lavoro per due volte nel corso dell’anno solare.

Quando una proposta di impiego è “congrua”

1. Quando è attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze acquisite dal beneficiario nel corso del colloquio di orientamento.
2. Quando la retribuzione è maggiore o uguale all’80 per cento di quella riferita alle mansioni di provenienza.
3. Quando il luogo di lavoro non dista oltre 50 chilometri dalla residenza ed è raggiungibile con i mezzi pubblici in un arco di tempo non superiore a ottanta minuti.

Tutto da buttare? Non proprio. Da riprendere è quel percorso interrotto ben prima della campagna elettorale dagli allora parlamentari di Sele da parte del Partito democratico che si sono “sfilati” dalla proposta, frutto di una mediazione, che aveva visto la partecipazione attiva della Rete dei Numeri Pari e di Libera, con la campagna Miseria Ladra. Da quella mediazione era uscita una proposta dalle caratteristiche ben diverse: reddito individuale, ancorato al 60% del reddito mediano pro-capite del Paese, senza alcun “ricatto” lavorativo. Il dietrofront di Sel e di quella parte del Pd che mostrò attenzione alla questione del reddito di cittadinanza portò il M5s a rinculare sulla proposta di partenza: più workfare e meno welfare.

 

«Da 5 anni portiamo avanti, come altri prima di noi, una battaglia fondamentale per la democrazia» commenta Giuseppe De Marzo della Rete dei Numeri Pari. «Oggi questa battaglia è ancora più necessaria per rispondere alla crisi che produce povertà ed esclusione sociale. Un vero reddito di cittadinanza è l’unica risposta possibile alla crisi, allo sfruttamento e, elemento non considerato guardando soprattutto al Sud, al contrasto alle mafie». Per questo non è il momento delle barricate sul tema. Anzi. «Speriamo che la nostra proposta, che ricordiamo è stata a suo tempo firmata dal Movimento 5 stelle su “via libera” di Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista in persona, venga ripresa». È da lì che si deve ripartire per costruire una proposta distrutta dal disinteresse, o dalla paura (?), di chi nel vecchio Parlamento sedeva a sinistra e che ha portato il Movimento 5 stelle a tornare indietro sulla propria proposta iniziale. «Così come emerso dal seminario sul reddito dello scorso 14 febbraio  “I Love Dignità” nel quale si sono confrontati costituzionalisti come Gaetano Azzariti, magistrati come Ernesto Bronzini e movimenti per l’abitare, studenti, sindacati» conclude De Marzo «auspichiamo un incontro, un tavolo di discussione e proposta, con chi governerà». Ne va delle sorti del Paese.

 

Qui  l’articolo di Daniele Nalbone per il Salto.

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