La crisi ambientale in Brasile è caratterizzata dall’avanzare della deforestazione e dai conflitti nelle campagne

In un’intervista, Dione Torquato, del Consiglio nazionale degli estrattivisti in Amazzonia e Ayala Ferreira, del Collettivo nazionale per i diritti umani dell’MST, sottolineano la realtà del paese.

1 giugno 2020 di Luciana G. – Console dalla pagina del  MST 

Negli ultimi anni la deforestazione in Brasile ha i tassi più alti, come dimostrato da numerosi documenti. Secondo il Rapporto annuale sulla deforestazione in Brasile 2019, che mostra la perdita di vegetazione autoctona rilevata in tutti i biomi nel paese lo scorso anno, il Brasile ha perso un’area equivalente a otto volte il comune di San Paolo, per un totale di 1.218.708 ettari. 

Oltre il 60% di questa area disboscata si trova nel bioma dell’Amazzonia, seguito dal Cerrado, nella classificazione dei biomi che hanno sofferto di più con l’avanzare della deforestazione.

Oltre alla perdita di foresta, la crisi ambientale mostra anche un’altra faccia. In mezzo alla distruzione  della vegetazione, le comunità tradizionali, quilombole e indigene sono al centro delle controversie territoriali, dove impera la violenza.

Secondo il più recente sondaggio della Commissione Pastorale della Terra (CPT), Conflitti nelle Campagne del Brasile 2019, nel primo anno del governo di Bolsonaro, il numero di conflitti rurali è stato il più alto degli ultimi dieci anni, raggiungendo i 1833 casi.

Per parlare dell’argomento, abbiamo intervistato Ayala Ferreira, del Collettivo Diritti Umani dell’MST, e  Dione Torquato, segretario generale del Consiglio nazionale delle Popolazioni estrattiviste (CNS), un’organizzazione creata nel 1985 in Amazzonia a seguito della lotta contro l’espulsione dalla terra e la devastazione della foresta. 

Pagina MST: la creazione del CNS si basa sulla lotta del grande attivista Chico Mendes in  difesa della foresta. Come vedi il contesto di questa lotta allora e oggi? Le richieste sono le stesse?

Dione Torquato (DT): La nostra lotta negli anni ’80 è stata per la riforma ecologica delle terre, contro il modello di occupazione che minacciava la vita della foresta e della sua gente. I nostri principali obiettivi erano la difesa dei territori ad uso collettivo, la conservazione delle risorse naturali, lo sviluppo sostenibile, attraverso la gestione sostenibile delle risorse naturali e il rafforzamento dell’organizzazione sociale della comunità. Oggi, circa 60 milioni di ettari,  più di 10 dell’area amazzonica, si trovano in territori di uso comune e comunità estrattive e di agricoltori familiari , così suddivisi: 75 riserve federali e statali estrattive, 28 delle quali marine; 21 riserve estrattive di sviluppo sostenibile; 37 foreste nazionali e statali e 506 progetti di insediamenti differenti.

Una dimostrazione dell’importanza del ruolo delle foreste tropicali e delle popolazioni che vivono in esse è l’equilibrio climatico globale. Nei territori protetti dalle sole comunità estrattive, ci sono più di 2 miliardi di tonnellate di stock di carbonio, secondo studi scientifici.

La lotta per garantire i diritti delle popolazioni e delle comunità tradizionali non è mai stata facile. Vale la pena ricordare che negli anni ’70, ’80 e ’90, la pressione sull’Amazzonia si è intensificata e, con ciò, sono arrivate le minacce alle popolazioni della foresta. Per resistere, gli indigeni e gli estrattori di caucciù formarono un’alleanza per la difesa dei loro territori: “Alleanza dei popoli della foresta”, che esiste ancora oggi. Dalla formazione dell’Alleanza, molti indigeni e estrattori di caucciù   hanno avuto i loro territori delimitati e riconosciuti. Altri risultati sono stati raggiunti, come la garanzia di alcune importanti politiche pubbliche per i popoli della foresta.

Tuttavia, continua ancora la lotta per la riforma agraria . 

Anche con tutte le conquiste dei tempi attuali, si verificano ancora molti conflitti per il possesso dell’Amazzonia, che causano  morti nella foresta. Ci sono ancora aree che devono essere riconosciute, approvate o create dal governo. È anche evidente che la pressione sull’Amazzonia cresce, soprattutto negli ultimi anni con i cambiamenti del governo e in particolare con l’attuale governo di Bolsonaro, che è un governo che incoraggia la deforestazione e il land grabbing in Amazzonia, ignora i diritti dei popoli e le comunità tradizionali, criminalizza le forme di organizzazioni e i movimenti di lotta in difesa dell’Amazzonia e che non tiene conto delle relazioni socioeconomiche e politiche della regione.       

I dati sull’andamento della deforestazione e sull’aumento dei conflitti fondiari in Amazzonia sono una fotografia dell’attività politica di questo governo.

L’Amazzonia è uno dei biomi più devastati nell’ultimo anno. Qual è l’impatto, se si continua a questo ritmo?

DT: La perdita di territori ha effetti irreversibili, non solo per i popoli della foresta, ma per il Brasile e tutta l’umanità. Non possiamo dimenticare l’importanza del bioma amazzonico per regolare il clima del pianeta e non possiamo dimenticare che il Brasile è il paese con la più grande biodiversità al mondo. L’aumento della deforestazione in Amazzonia ci spinge verso un collasso ambientale, che influenzerà immediatamente le popolazioni in situazioni di maggiore vulnerabilità sociale, come i popoli della foresta, della campagna e delle acque, le popolazioni che vivono nelle periferie e, infine, l’intera popolazione in  genere. Non dobbiamo dimenticare che viviamo su un unico pianeta e che le conseguenze causate dai cambiamenti climatici raggiungono tutti. Prima o poi questo succederà, se non ce ne preoccupiamo ora.

Quali misure del governo sarebbero importanti per fermare il degrado ambientale in Brasile?

DT: In un paese con tale ricchezza ambientale, diversità sociale e culturale come il Brasile, l’agenda ambientale e agraria dovrebbe essere al centro della politica statale. Il governo dovrebbe adottare una serie di misure ordinate, come fare una riforma agraria giusta  per le popolazioni delle campagne, delle foreste e delle acque, investire nelle politiche ambientali e sociali pubbliche, attuare la regolarizzazione fondiaria, garantire infrastrutture adeguate alla realtà dell’Amazzonia, svolgere azioni di investimento adeguate allo sviluppo sostenibile della regione e avere i nella sfera istituzionale una struttura che soddisfa le esigenze dell’Amazzonia.

Cosa possono fare i cittadini brasiliani su questo tema?

DT: Il diritto a un ambiente ecologicamente equilibrato è un bene garantito dalla nostra Costituzione e anche il dovere di proteggere l’ambiente. Pertanto, la lotta in difesa dell’Amazzonia non può essere una lotta solo dei popoli della foresta, ma dell’intera società, perché l’Amazzonia è un bene per tutta l’umanità. Nel caso della società brasiliana, un modo concreto di aiutare la lotta dei popoli della foresta è sostenerne la causa, essere contro le azioni criminali del governo e  anche  che ognuno faccia la propria parte nel prendersi cura del proprio ambiente. Perché lo spazio in cui vivi fa parte di un ambiente più ampio e le azioni che intraprendi possono avere grandi effetti se aggiunte ad altri “sforzi”

C’è speranza per la foresta?

DT: La speranza della foresta è nei guardiani delle foreste, specialmente nelle mani delle donne e dei giovani, nel modello di sviluppo che il Paese adotta, nel modello economico che il mondo segue e nel comportamento dell’umanità. Senza una visione integrata dell’importanza per l’uomo della natura, la vita o la fine della foresta dipende dalla direzione che l’umanità prenderà.

Quando si parla di violenza nelle campagne, c’è una differenza rispetto ai governi? Qual è la percezione della situazione oggi?

Ayala Ferreira (AF): a causa di questo contesto di negazione storica della democratizzazione dell’accesso alla terra e del riconoscimento di aree storicamente appartenenti a comunità tradizionali, come gli indigeni e le quilombole, il processo di organizzazione e lotta dei lavoratori rurali è estremamente violento. Questa costruzione storica, combinata con alcuni governi che sono contrari alla realizzazione di questo diritto garantito nella Costituzione, fa sì che questa violenza si esacerbi ed espanda, influenzando direttamente la vita di coloro che lottano per la realizzazione di questo diritto alla terra e il riconoscimento della loro cultura e dei loro territori .

Nel corso degli anni, abbiamo visto diverse forme di azione dei governi sulla questione della violenza nelle campagne. Tuttavia, è noto, quando guardiamo dal punto di vista storico e dalla

raccolta dei dati, che sono aumentati conflitti, minacce, morti e persecuzioni sul campo. Ad aprile, la Commissione Pastorale della Terra  (CPT) ha pubblicato l’edizione 2019 della sezione “Conflitti nelle campagne , dal 1995 ha svolto questo lavoro sistematico nella raccolta di questi dati.

È interessante notare che l’anno scorso, il primo anno dell’attuale governo del presidente Bolsonaro, è stato un anno estremamente violento per i lavoratori rurali, che siano contadini senza terra, insediati della Riforma agraria, indigeni e quilombole.

Negli ultimi 15 anni non abbiamo assistito a violenze simili a quelle del 2019. Inoltre, è anche importante analizzare i dati in base al valore simbolico che rappresentano. La  CPT ha presentato 1800 conflitti rurali, che hanno fatto vittime in  859 mila famiglie. In media, abbiamo avuto 5 conflitti al giorno, alcuni legati alla lotta per la terra, altri per l’acqua e altri per conflitti sul lavoro e la pratica del lavoro schiavo. Sfortunatamente, 32 persone sono state uccise nel campo, metà erano leader di movimenti.

Quando parliamo della riforma agraria o della demarcazione delle terre per le comunità tradizionali, indigene e quilombola, ci riferiamo a una politica statale. In altre parole, i governi avrebbero l’obbligo di attuare e applicare ciò che è nei dettati della Costituzione federale dell’88.

È chiaro che il Brasile è una realtà che richiede che questi settori che combattono per la riforma agraria e per il riconoscimento storico dei loro territori, si organizzino e cerchino meccanismi per fare pressione sullo Stato affinché ciò possa essere raggiunto. La pressione è necessaria per una ragione fondamentale: siamo una società che si è formata sotto la logica del sistema capitalista, che legittimava la proprietà privata, del latifondo e che era, in una costruzione storica, nelle mani di settori che erano, per la maggior parte, composti da uomini bianchi europei o discendenti europei.

Inoltre, i settori che hanno utilizzato il lavoro degli schiavi indigeni e neri per formare quelle che noi chiamiamo le ricchezze che si sono costituite nel nostro paese, formando un’élite bianca, con residui di schiavitù,  assumono nella loro pratica quotidiana il loro carattere anti-popolare. 

Quindi, abbiamo questa realtà storica che legittima a fare un processo di lotta  permanente per attuare la democratizzazione dell’accesso alla terra, la riforma agraria e per riconoscere questi territori tradizionali delle comunità indigene e quilombola.

Come possiamo mettere in relazione la violenza nelle campagne con la crisi ambientale?

AF: Innanzitutto, dobbiamo riconoscere che il governo di Bolsonaro ha adottato un’agenda estremamente negativa per i lavoratori nelle città e nelle campagne, che è del tutto neoliberista e afferma un discorso di  violenza, autoritario e conservatore . Quindi, è un governo che ha la narrativa dell’odio e mira a criminalizzare ed eliminare fisicamente coloro che considera nemici suoi e del suo governo. In questo caso, i lavoratori che si organizzano in movimenti popolari e di comunità per lottare per i loro diritti più elementari per garantire la loro esistenza.

L’autorizzazione a detenere armi a determinati settori è un esempio concreto di questa pratica di incoraggiamento alla violenza contro determinati soggetti nella nostra società. È un governo alleato con i ruralisti e l’industria agroalimentare rurale e, in 17 mesi di governo, ha attuato una serie di azioni che rafforzano questa alleanza con gli agrari in Brasile. Quindi abbiamo la liberalizzazione  sempre più intensa dell’uso di pesticidi, la flessibilità dell’agenda ambientale, la riduzione del budget per l’agricoltura contadina e familiare e la riduzione dei programmi che sono importanti per lo sviluppo dei territori tradizionali e contadini nel nostro paese e che non riguardano solo i soggetti della campagna . Colpisce anche la società in generale perché, ogni giorno, quelli in città hanno bisogno di mangiare e sappiamo tutti che ciò che i brasiliani mangiano al loro tavolo proviene dall’agricoltura familiare, è il 70%. L’assenza di queste politiche rende impossibile la sovranità alimentare di tutti.

Le tragedie nell’agenda ambientale che abbiamo affrontato sono elementi che hanno a che fare con il comportamento di Bolsonaro al potere. Quindi, l’incentivo all’estrazione di minerali  ha causato tragedie come Brumadinho, dove sono morte più di 200 persone, traumatizzando un’intera regione e l’intero paese. L’incentivo all’accaparramento delle terre e alla deforestazione da parte dei gruppi, in Amazzonia è stato un elemento molto forte che caratterizza la pratica di questo governo in relazione alla campagna, all’agricoltura e all’agenda ambientale.

La “Giornata del fuoco”, nell’agosto dell’anno scorso, è stata un’espressione concreta della risposta degli agrari e dei land grabbers a un governo che legittima questo tipo di pratica.

Come hanno fatto i lavoratori rurali a  proteggersi? Quali misure sarebbero importanti per ridurre la violenza?

AF: È importante dire che, nonostante un contesto estremamente sfavorevole per coloro che lottano per la terra e che difendono il riconoscimento dei loro territori tradizionali, i lavoratori rurali, gli indigeni, le quilombole e i lavoratori senza terra continuano in un processo sempre più costante di organizzazione e affermazione di queste loro bandiere. Per un motivo fondamentale, questo è l’unico modo in cui questi soggetti riescono effettivamente a garantire la loro esistenza nel nostro paese. Senza la terra, senza il territorio, questi soggetti non si  realizzano, è una questione di vita o di morte continuare a fare questi processi di lotta nell’attuale contesto.

Sappiamo che il momento non è favorevole, la negazione di questi diritti impone gravi limiti ai lavoratori e lo sentiamo nella vita quotidiana, quando vediamo le difficoltà concrete in territori che non hanno il minimo, dal punto di vista delle politiche pubbliche e del migliorare l’accesso a diritti quali alloggio, istruzione, sanità, strade, crediti.   

Una serie di misure necessarie affinché le persone abbiano una vita dignitosa in campagna.              Quindi penso che sia una realtà necessaria e che i lavoratori stanno provando, con grande difficoltà, a rimanere in piedi.

Una delle azioni fondamentali per i lavoratori per continuare in questo processo di organizzazione, resistenza e lotta è il dialogo con la società brasiliana. Il riconoscimento dei territori tradizionali significa la garanzia quotidiana di conservare e preservare la natura per le generazioni future. 

La conquista e la democratizzazione dell’accesso alla terra, l’attuazione della riforma agraria significano, la produzione di cibo per la società in generale. 

Quindi,  questa convinzione e il dialogo con la società sono stati i principali strumenti adottati in questo contesto sfavorevole dai lavoratori per l’affermazione della loro agenda.

Questa ricerca di aiuto si materializza nelle azioni di pressione sul Congresso Nazionale, che è certamente alleato con il gruppo ruralista e con l’agroindustria nel nostro paese e nella pressione sul governo di Bolsonaro, sugli stati e i comuni. È lo sforzo di presentare l’importanza della nostra esistenza ai settori che trarranno direttamente beneficio dalla piena realizzazione dei soggetti contadini, quando abbiano accesso alle condizioni minime di esistenza. È responsabilità del governo attuare queste azioni perché è previsto dalla Costituzione brasiliana. E questa deve essere la nostra affermazione fino all’ultimo momento, specialmente in un contesto come questo di pandemia

L’MST ha lanciato il piano nazionale per piantare alberi per produrre alimenti sani. In cosa consiste l’iniziativa? Cosa ci si aspetta?

AF: Penso che sia importante per noi riaffermare che il Piano è una  posizione politica e produttiva dell’MST come risultato diretto di una lettura dell’attuale fase di sviluppo del sistema capitalista, che è in profonda crisi, e non è una crisi ciclica che fa parte dello sviluppo del capitale, ma una crisi più profonda. È una crisi sistemica che ha colpito le molteplici dimensioni della nostra vita nella società. È una crisi economica, ma anche politica, sociale e ambientale. 

La nostra lettura è che il sempre più intenso sfruttamento dei lavoratori e dei beni della natura ha portato i brasiliani e la società mondiale a raggiungere uno scenario limite estremo; già sentiamo nella nostra vita quotidiana come i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità siano elementi che potrebbero  imporre seri limiti alla nostra esistenza come esseri umani.

Questa preoccupazione ci ha fatto supporre che la sfida dei contadini senza terra sia quella di continuare a produrre cibo sufficiente e necessario per le esigenze della società brasiliana. 

E non solo cibo, deve essere cibo sano, perché il nostro progetto di riforma agraria popolare rivaleggia con l’egemonia dell’agroindustria nelle campagne. È un cibo diversificato, privo di pesticidi, che rispetta l’esistenza della famiglia contadina, quindi ognuno ha un ruolo nel lavoro produttivo della comunità, è un alimento che rafforza e vive i principi dell’agroecologia. 

Produrre alimenti accessibili alle persone, dato che oggi l’industria agroalimentare rende il cibo molto costoso e le persone perdono sempre più il diritto di mangiare in modo diverso perché il cibo è caro.

Insieme a questo processo di produzione, abbiamo la sfida di preservare ciò che abbiamo ancora delle foreste nel nostro paese e di espandere e recuperare ciò che è stato disboscato dall’avidità del capitale, materializzata dall’espansione dell’agroindustria e del latifondo. Il piano affronta questa sfida. Noi, contadini senza terra, per il controllo dei territori che abbiamo già nel nostro paese oggi e per l’espansione nella ricerca di conquistarne nuovi e renderli buoni luoghi in cui vivere. Per fare questo, dobbiamo riappropriarcene, per ripristinare un ecosistema che è  stato distrutto. Il nostro obiettivo è, in 10 anni, piantare 100 milioni di alberi autoctoni e da frutto in tutto il paese, in modo che possano essere goduti dalle generazioni, dai figli e dalle figlie della riforma agraria e dalla classe lavoratrice nel suo insieme

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