La pandemia uccide i poveri, la disugualianza ne ucciderà ancor di più

Per i due miliardi e mezzo di persone che sopravvivono con appena 5 dollari al giorno l’impatto del Covid-19 può essere disastroso

di Joan Benach *

In poco più di quattro mesi, Covid-19 è diventata la crisi sanitaria globale più veloce conosciuta fino ad oggi. Varie caratteristiche sistemiche biologiche, politiche e di salute pubblica si sono unite per far sì che ciò accadesse. Fra queste si può elencare: Il rapido contagio e l’elevata mortalità della popolazione; la debolezza dei sistemi sanitari nazionali e globali; la globalizzazione del turismo tramite l’utilizzo del trasporto aereo; la scarsa lungimiranza istituzionale e politica; il ritardo in reagire in modo appropriato di fronte agli avvertimenti sollevati da scienziati e istituzioni.

Sebbene nessuno poteva prevedere esattamente quando, come e dove, sarebbe iniziato e quale Paese potesse essere maggiormente colpito, almeno dagli anni ’80 sapevamo che ciò sarebbe potuto accadere i. Gli scienziati avevano avvertito che i cambiamenti socio-ecologici globali, che consentono l’emergere di malattie infettive, stavano aumentando a un ritmo senza precedenti. Secondo le parole del microbiologo Joshua Lederberg, vincitore del premio Nobel, “il virus costituisce la più grande minaccia al dominio dell’uomo sul pianeta”.Infatti, siamo stati ripetutamente avvertiti. Nel 2015, Bill Gates ha osservato in un video divulgativo e una pubblicazione scientifica: “C’è un’alta probabilità che un’epidemia di una malattia altamente infettiva si verificherà nei prossimi venti anni”. Nello stesso senso, a settembre 2019, l’OMS ha avvertito: “Il mondo è gravemente a rischio di epidemie devastanti o pandemie di malattie regionali o globali che non solo causeranno la perdita della vita, ma distruggeranno anche le economie e creeranno il caos sociale”.

Tuttavia, il coronavirus non è una pandemia globale che colpisce allo stesso modo l’intera popolazione, come spesso si ripete, anzi sta ulteriormente aggravando le già enormi disparità sociali.

In tempi di pandemia, uno dei modi migliori per valutare i risultati o le ingiustizie sociali di un Paese o di una comunità, è quello di studiare in dettaglio le sue condizioni di salute e, soprattutto, il suo livello di equità. Contrariamente a ciò che autori che giudicano positivamente il “progresso” della società come Steven Pinker, Max Roser, Matt Ridley, Johan Norberg o Hans Rosling ii, diffondendo indicatori ottimisti della società odierna, e che servono a giustificare i benefici del sistema capitalista, la povertà, l’esclusione sociale e la disuguaglianza, a livello globale e anche all’interno dei Paesi, sono molto più grandi di quanto immaginiamo e di ciò che vogliamo vedere.

Il modo in cui vediamo le cose è condizionato da ciò che sappiamo e da quello in cui crediamo. Guardare è un atto di scelta, ha affermato lo scrittore e critico d’arte britannico John Berger, aggiungendo “vediamo solo quello che guardiamo” iii. Nel romanzo “Cecità” , il premio Nobel portoghese Josè Saramago, racconta che uno strano virus improvvisamente produce una grande cecità nella popolazione. Tuttavia, tutti quanti sono ciechi che vedono, ciechi che, vedendo, non vedono.v.

Non abbiamo ancora delle analisi adeguate per valutare l’impatto globale della pandemia di Covid-19 in un modo minimamente approfondito, ma i risultati preliminari dimostrano gli effetti che si stanno verificando e anche le conseguenze che sono altamente probabili nell’immediato futuro. Quali lezioni possiamo trarre sugli effetti di un piccolo betacoronavirus di soli 100 nanometri di diametro sul contesto sociale? La prima lezione che dobbiamo trarre è che stiamo brancolando nel buio. Un secolo fa, un articolo pubblicato sulla rivista Science affermava che: “La pandemia che si è appena diffusa sulla terra non ha precedenti. Ci sono state epidemie più mortali, ma sono state più circoscritte; ci sono state epidemie quasi altrettanto diffuse, ma sono state meno mortali … ”.

La pandemia del 1918-19 ha ucciso fra 50 e 100 milioni di persone in tre ondate. Sebbene per decenni si è sostenuto che la pandemia ha colpito ugualmente tutti i gruppi sociali, studi recenti hanno dimostrato che la mortalità della popolazione variava più di trenta volte tra i Paesi poveri e ricchi, e che la stragrande maggioranza dei decessi avvenne nei Paesi poveri vi . Dato che la mortalità nei settori popolari è stata più elevata, si può concludere che la virulenza del virus non si è manifestata democraticamente. Ovvero, c`è stata una importante variazione geografica della mortalità associata a fattori sociodemografici ”.

Quasi un secolo dopo, durante la pandemia di influenza H1N1 del 2009, il tasso di mortalità è risultato essere anche tre volte più alto nel quinto più povero della popolazione inglese, rispetto al quinto più ricco. Allo stesso modo, la mortalità e il ricovero in ospedale tra ispanici e neri nell’Illinois, negli Stati Uniti, sono stati molto più elevati. Per quanto riguarda il Covid 19, i dati ufficiali (al 15 aprile 2020) ci dicono che la pandemia ha già infettato più di due milioni di persone, di cui quasi 130.000 sono morte.

L’impatto globale di una crisi multidimensionale che ha messo sottosopra l’economia planetaria, la società e la politica è immenso. Non c’è dubbio che il mondo è cambiato e nulla sarà più come prima. Ma quando si valuta il tasso di mortalità, la realtà ci appare con sfumature. La pandemia da influenza A (H1N1) del 2009 ha contagiato 1 miliardo di persone, di cui forse mezzo milione sono morte. Ogni anno tra 250.000 e 500.000 persone muoiono in tutto il mondo a causa dell’influenza comune. Nel frattempo, negli ultimi quattro mesi e mezzo di crisi, quasi tre milioni di bambini sono morti sul pianeta a causa della fame e nell’oblio più assoluto.

Nel “primo mondo”, la pandemia ha provocato una situazione tragica, che si aggiunge alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale che già vive quotidianamente in una situazione di povertà. Il coronavirus aggraverà quindi ulteriormente un pianeta che è già malato di disuguaglianza.

Una seconda lezione da imparare ha a che fare con le cause, con il perché della pandemia. La causa della pandemia non è solo biologica, né è solo un virus. Le persone si ammalano e muoiono a causa del virus SARS-Cov-2, secondo le differenze biomediche e di età che ha ogni individuo. Ma queste non sono le “uniche cause” che fanno ammalare e morire la gente. Gli studi sulla salute pubblica insegnano che i processi collettivi di salute e malattia sono anche risultati di situazioni sociali e storiche. Infatti, da prima della nascita fino alla morte, incorporiamo determinati elementi politici e socio-ecologici nei nostri corpi e nelle nostre menti, che in seguito esprimiamo sotto forma di salute o malattia. Quali sono quindi le cause della pandemia? Il sociologo Zygmunt Bauman ha sottolineato che ora più che mai dipendiamo l’uno dall’altro e che per la prima volta nella storia siamo una umanità complessivamente interconnessa. Qualunque cosa accada in una parte del globo ha effetti sul resto del pianeta, anche se riconosciamo che, in molti casi, non sapremo come, quando, o quali saranno tali effetti.

Le cause profonde della pandemia si trovano nella crisi sistemica ecosociale in cui si trova l’umanità. Cioè, eccessiva urbanizzazione, cambiamenti nell’uso del suolo, deforestazione, perdita di biodiversità, crescita massiccia dell’agroindustria, trasmissione di malattie tra specie animali dovuto al sovraffollamento, e crescita massiccia del turismo e dei viaggi aerei. Cosa c’è dietro tutto questo? Un processo sistemico di accumulazione, crescita esponenziale e disuguaglianza di un sistema economico sfrenato come il capitalismo che, come dimostrano molti studi scientifici, colpisce frontalmente i limiti biofisici planetari.

Non è che vi sia una crisi eco-sociale o climatica, ciò che esiste è un progetto politico-economico che crea le condizioni per far sì che si verifichino queste crisi. Ciò che sta dietro è un’economia che ci fa ammalare quando cresce e anche quando non cresce. Il capitalismo è una malattia? Se lo è domandato qualche anno fa il grande matematico ed ecologo Richard Levins. Ci sono molti altri scienziati che per anni ci hanno avvertito della comparsa di una pandemia. Ma la prevenzione di una catastrofe non produce benefici, ha sottolineato Noam Chomsky con la sua solita lucidità. Senza profondi cambiamenti politici, socio-ecologici ed economici, la probabilità che questa non sia l’ultima pandemia è molto alta e anche più letale.

Il Covid-19 soddisfa tutte le condizioni per essere considerato una pandemia di disuguaglianza. Sebbene ancora non ci siano disponibili analisi scientifiche precise, non vi è dubbio che la pandemia costituisca una grave minaccia per la popolazione dei quartieri popolari di città come New York o Chicago, dove sette morti su dieci sono afro-americani, nonostante siano solo il 30% della popolazione. La pandemia avrà anche un forte impatto in quei Paesi che lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano ha descritto come “Paesi sopraffatti dallo sviluppo degli altri”. E sfortunatamente, il mondo è pieno di periferie indigenti, abitazioni sovraffollate, lavoro precario e informale, sistemi di igiene deboli e mancanza di cibo e acqua pulita. Per i 2,5 miliardi di persone che sopravvivono con soli 5 dollari al giorno, l’impatto del Covid-19 può essere terribile. Nei media si ripete che è essenziale lavarsi le mani frequentemente per prevenire le infezioni. Ma l’UNICEF avverte che una persona su tre nel mondo non ha accesso all’acqua pulita e che oltre 300 milioni di africani non hanno acqua potabile. La pandemia sta devastando i poveri del mondo, malgrado il coronavirus non li abbia ancora completamente colpiti.

Finora, a livello globale, la maggior parte delle vittime sono avvenute nei Paesi ricchi, ma ciò potrebbe presto iniziare a cambiare nella misura in cui avessimo i dati e le analisi appropriate per conoscere il numero di persone infette nei Paesi più poveri. Già nelle ultime settimane abbiamo visto i primi casi confermati di Covid-19 in alcuni dei bassifondi più grandi e sovraffollati del mondo. Uno studio in Brasile, ad esempio, ha stimato che il numero effettivo di casi di coronavirus nel Paese potrebbe essere dodici volte il numero ufficiale. Ma anche se il coronavirus non si diffondesse in migliaia di città e Paesi dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, dove è impossibile che ci sia un effettivo distanziamento sociale, l’esistenza di milioni di persone con mezzi di sussistenza precari, alta povertà, perdita di posti di lavoro può uccidere più del coronavirus.

Tutto ciò potrebbe produrre un enorme caos sociale, con centinaia di migliaia di persone disperate e un aumento del numero di migranti nel mondo che cercano un modo per sopravvivere. Quando in seguito avremo dati e studi affidabili, saremo in grado di valutare i reali effetti della pandemia in termini di mortalità e morbilità, e sarà possibile confrontare i suoi effetti tra Paesi e tra gruppi sociali. Tuttavia, già possiamo dire che le disuguaglianze sanitarie sono la malattia del nostro tempo, la nostra pandemia principale.

All’inizio del XXI° secolo, Manuel Vázquez Montalbán, in un suo saggio sulla globalizzazione, ha analizzato l’emergere del pan-capitalismo, e ci ha avvertito che “mostrare il formicaio, la pelle, gli occhi dei perdenti era sovversione”, e che presto potrebbe essere vietato. Fortunatamente, non abbiamo ancora raggiunto quel punto, ma l’attuale assenza di dati affidabili, che esiste in molti Paesi, per analizzare la disuguaglianza sembra avvicinarci a quella predizione. Numerose analisi scientifiche hanno dimostrato come muoiono le classi più vulnerabili, le donne, i migranti, i bambini, gli anziani e i residenti dei territori poveri, e si ammalano di più per cause ingiuste ed evitabili. La pandemia di Covid-19 amplifica le precedenti disuguaglianze sociali.

Piove sul bagnato, ma non piove allo stesso modo per tutte le persone. Le politiche di mercificazione neoliberista hanno deteriorato senza pietà risorse e servizi di sanità pubblica; i servizi sociali non sono mai stati sviluppati; e la salute pubblica, cioè il mezzo per proteggere e prevenire le malattie e promuovere la salute collettiva, è stata sistematicamente sottofinanziata e ignorata. Il personale sanitario, da alcuni applauditi ipocritamente come eroi, ha dovuto esporsi inutilmente al contagio e al rischio di morire. Per giorni e giorni, un gran numero di lavoratori ha dovuto scegliere tra i rischi di andare al lavoro, perdere il lavoro o diventare precari senza avere il privilegio del tele-lavoro. Insieme a operai edili, addetti alle consegne e impiegati nei settori del turismo e dei servizi, gran parte della classe lavoratrice che sostiene la vita comune di tutta la popolazione è stata resa invisibile.

A casa, la crisi si manifesta soprattutto nelle donne che si prendono cura di persone malate e disabili, neonati e anziani. Cassieri, addetti alle pulizie, governanti e assistenti sociali hanno anche il volto di una donna.

Il microbiologo e ambientalista francese René Dubos ha affermato che ogni civiltà crea le proprie malattie ed epidemie. La malattia più importante del nostro tempo, la pandemia più devastante, non è la tubercolosi, la malaria, l’AIDS o Covid-19, ma piuttosto la disuguaglianza.

Secondo lo storico Peter Turchin, esiste una forte associazione tra crisi sociali, globalizzazione e pandemie. Queste sono state più frequenti in momenti di maggiore disuguaglianza sociale. La popolazione povera emigra di più per trovare lavoro, mentre i ricchi spendono di più in lussi e viaggiano di più verso luoghi lontani. Il mondo è più strettamente connesso attraverso persone, germi e oggetti che viaggiano insieme lungo rotte commerciali che collegano città e Paesi. Ciò accadde nel II° secolo D.C., quando gli imperi romano e cinese erano al culmine della loro ricchezza e potere, così come durante la pestilenza di Giustiniano nel VI° secolo, e durante la Morte Nera nel XIV° secolo.

Come è successo con l’influenza del 1918, la pandemia del 2020 è la scintilla che ha scatenato una crisi latente in un’economia globale enormemente diseguale che amplificherà ulteriormente le disuguaglianze esistenti. Quindi rimarranno come semplice retorica le ripetute espressioni di questi giorni che “nessuno sarà lasciato indietro”, oppure che “nessuno sarà abbandonato al proprio destino ”. Il filosofo Emilio Lledó ha recentemente sottolineato che non dovremmo permettere a nessuno di trarre vantaggio da un virus per tenerci nell’oscurità e nell’indecenza. Il coronavirus ci costringe urgentemente a fare un cambiamento sociale radicale. La pandemia di coronavirus uccide di più i poveri. A sua volta, la povertà e la disuguaglianza uccideranno i più poveri.

*Joan Benach è professore, ricercatore di salute pubblica (Gruppo di ricerca sulle disuguaglianze sanitarie, Greds-Emconet, UPF; Centro di politiche pubbliche Johns Hopkins-UPF; Gruppo di ricerca transdisciplinare sulle transizioni socio-ecologiche, GinTrans2, UAM).

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Traduzione di Oscar Cismondi

Pubblicato il 28 apr 2020

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