Appello alla mobilitazione contro l’articolo 5
Diritto di residenza e libertà di movimento dentro e oltre la pandemia.
Le conseguenze di questa legge, che porta le firme dell’allora presidente del consiglio Matteo Renzi e dell’allora ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, si stanno rivelando nefaste per decine di migliaia di persone, escluse dalla possibilità di esercitare concretamente diritti sociali, civili e politici costituzionalmente garantiti.
Senza residenza, inoltre, non è possibile godere a pieno del diritto alla salute, in quanto l’iscrizione anagrafica – per effetto di prescrizioni normative o a causa degli orientamenti restrittivi ed escludenti di distretti sanitari e operatori – è una condizione necessaria ai fini dell’assegnazione di un medico di famiglia e di un pediatra. Oltre all’impossibilità di partecipare ai programmi di prevenzione, ciò significa non poter godere di cure basilari se non rivolgendosi all’assistenza emergenziale, ossia recandosi al pronto soccorso. Per quanto riguarda la scuola, la residenza non è un requisito formalmente previsto per l’iscrizione ai cicli formativi primari e secondari, sebbene in diversi casi sia di fatto richiesto, mentre costituisce una condizione necessaria per l’accesso ad alcuni servizi, quali la mensa e il buono libri, subordinati all’ISEE: chi non ha la possibilità di produrre questa certificazione, legata a doppio filo alla registrazione anagrafica, rimane tagliata/o fuori dalle misure di sostegno, pur essendone particolarmente bisognosa/o. Senza residenza, inoltre, non è possibile effettuare l’iscrizione alla scuola materna né agli asili nido.
A distanza di quasi 7 anni dall’entrata in vigore dell’articolo 5, ogni tentativo di smontare anche parzialmente questo strumento fortemente coercitivo per decine di migliaia di persone – costrette, data la loro condizione di povertà, a vivere in alloggi o in immobili occupati – è risultato vano.
Con la crisi pandemica e la nuova legislazione sulla sicurezza urbana e sull’accoglienza, le conseguenze dell’articolo 5 si sono ulteriormente aggravate. Tra i suoi effetti nefasti, va sicuramente annoverata la spada di Damocle dei distacchi delle utenze, che i gestori possono attuare in qualsiasi momento e che, infatti, sono stati minacciati (e talvolta eseguiti) dentro occupazioni a scopo abitativo e alloggi ERP. Non è mai accettabile pensare di privare di beni fondamentali come luce e acqua chi ha occupato per necessità (l’accesso all’acqua è un diritto inalienabile dell’uomo sancito dall’ONU nel 2010, e ribadito in Italia con il referendum del 2011 per la gestione completamente pubblica e partecipata del servizio idrico). Tantomeno lo può essere nel bel mezzo di una pandemia, considerando che i mezzi per contrastarla sono tutti sistematicamente negati dalle disposizioni contenute nell’articolo 5 (dall’assistenza sanitaria, all’accesso a un alloggio dignitoso e fornito di tutti i servizi essenziali).
Come se non bastasse, persino la possibilità di ottenere l’iscrizione anagrafica secondo le modalità previste per le persone ritenute ‘senza fissa dimora’ – la c.d. residenza fittizia – è stata limitata da ulteriori ostacoli amministrativi e storture burocratiche. Le procedure impiegate per attuare questo percorso di registrazione sono spesso farraginose e vengono interpretate in modo difforme dalle diverse istituzioni coinvolte, spianando la strada alla discrezionalità degli attori in campo. A Roma, per esempio, i diversi municipi seguono logiche e procedure molto diverse tra loro mentre la questura non riconosce la residenza fittizia come una condizione formalmente valida per il rinnovo dei permessi di soggiorno. In molti comuni, l’INPS rifiuta di attribuire il Reddito di Cittadinanza a persone iscritte come senza fissa dimora: nel loro caso, gli anni di iscrizione anagrafica non sono considerati accettabili.
Tutto ciò avviene non solo in contrasto con la nostra Costituzione – il cui art. 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo “sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” e il cui art. 16 stabilisce che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza” –, ma anche con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (la cosiddetta Carta di Lisbona): “con l’obiettivo di combattere povertà e esclusione sociale, l’Unione riconosce e rispetta il diritto alla casa e all’housing sociale, al fine di assicurare un’esistenza dignitosa a tutti coloro che non siano in possesso delle risorse minime, in accordo alle regole stabilite dalla legislazione Comunitaria e dalla legislazione e pratiche internazionali”.
Per queste ragioni intendiamo mobilitarci presso la sede dell’Anagrafe centrale di Roma venerdì 9 aprile, e invitiamo a sostenere questo appello e la campagna per il diritto alla residenza promossa da diverse associazioni, movimenti, giuristi e ricercatori universitari, nonché da deputati, senatori e amministratori locali.