Statistiche ISTAT sulla povertà 2020: il commento della Rete dei Numeri Pari

Mercoledì 16 giugno l’Istituto Nazionale di Statistica ha pubblicato i dati sulla povertà relativi al 2020. La povertà assoluta torna a crescere coinvolgendo la cifra record di 2,6 milioni di famiglie, 5,6 milioni di persone di cui 1,3 milioni di minori. Nel complesso la povertà assoluta colpisce il 9,4% della popolazione – contro il 7,7% del 2019 – raggiungendo così il livello più elevato dal 2005, anno di inizio delle serie storiche. Per quanto riguarda la povertà relativa, invece, è stato registrato un aumento dall’11,4% del 2019 al 13,5% del 2020, coinvolgendo oltre 8 milioni di persone. L’Italia è tra i Paesi con il maggior numero di persone a rischio esclusione sociale in Europa (1 su 3) seguita solo da Lituania, Grecia, Romania e Bulgaria. Allo stesso tempo è il paese dove sono presenti due delle tre Regioni più povere d’Europa: 1° la Sicilia e 3° la Campania, dove 11 milioni di persone non possono più curarsi per motivi economici, dove cresce la povertà educativa, dove le mafie fanno affari per 110 miliardi l’anno, dove corruzione ed evasione fiscale continuano a crescere.

È in situazioni eccezionali, come quelle della pandemia, che si conoscono meglio le qualità delle nostre istituzioni. Purtroppo nel nostro Paese i dati pubblicati dall’ISTAT denunciano un quadro in cui la politica non ha saputo (o voluto) intervenire per rispondere ai problemi emersi con l’aumento senza precedenti delle disuguaglianze, amplificati ed esplosi attraverso l’emergenza Covid. Niente è stato fatto per sradicare le cause della povertà e delle disuguaglianze nel nostro Paese, né per neutralizzare il ricatto delle mafie sui territori. Il lavoro è sempre più precario e con lo sblocco dei licenziamenti assisteremo a uno squarcio del tessuto sociale e lavorativo senza precedenti; il nostro sistema di protezione sociale è inadeguato e sottofinanziato, mentre continua a scaricare tutto il peso del lavoro di cura sulle donne (come denunciato dall’ex presidente Giovanni Alleva in Parlamento già nel 2017); le misure di sostegno al reddito sono ancora parziali e lontane dai “social pillar” europei che garantiscono a tutte le cittadine e i cittadini reddito minimo garantito, diritto all’abitare e servizi sociali di qualità; le ingiustizie sociali, ambientali ed ecologiche continuano a crescere e a peggiorare le condizioni materiali ed esistenziali di milioni di persone; la democrazia è sempre più debole. 

Con l’appello “Andrà tutto bene SE…” denunciavamo – già dai primi giorni di aprile 2020 – come, in assenza di misure adeguate a fronteggiare la crisi sanitaria, nel giro di pochi mesi ci saremmo trovati a vivere in Paese ancora più povero, diseguale, fragile, precario, stanco e indebolito, in cui la criminalità organizzata e l’individualismo proprietario avrebbero finito per sfruttare le conseguenze della pandemia. Un Paese nel quale la ricchezza c’è, a differenza di quello che ci hanno raccontato, e si è concentrata nelle mani di pochi. Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, con i ceti medi che scompaiono. Solo lo scorso anno i 36 miliardari italiani hanno aumentato la loro ricchezza di altri 45,6 miliardi di euro secondo Oxfam.

La crudele pedagogia del virus ci ha mostrato come a essere maggiormente colpiti dalla pandemia siano state le donne, i lavoratori precari, gli irregolari, gli autonomi, il lavoratori di strada, le persone senza dimora, i residente nelle periferie delle grandi città, i disabili, gli anziani, gli immigrati. Mentre qualcuno dalla pandemia ha tratto un enorme vantaggio e continua a farlo anche utilizzando soldi pubblici, come nel caso del PNRR. 

Purtroppo – nonostante decine di migliaia di morti, l’aumento delle disuguaglianze e delle povertà – il PNRR rappresenta un’enorme occasione mancata, difende gli interessi dello stesso modello responsabile della crisi, non promuove né equità sociale e né sostenibilità ambientale. 

Per sconfiggere le disuguaglianze e far ripartire davvero il Paese, rimettendo insieme il diritto al lavoro con il diritto alla salute, orientando la base produttiva e il mercato verso la sostenibilità ambientale, abbiamo bisogno di: introdurre un sistema di sostegno al reddito meno condizionante, studiando le esperienze in giro per il mondo sul reddito di base; di politiche sociali che mettano al centro il metodo della co-progettazione e co-programmazione come indicato nella sentenza 131 della Corte Costituzionale, contribuendo a rigenerare il welfare municipale; di investimenti strutturali e non emergenziali sul diritto all’abitare che garantiscano alle centinaia di migliaia di famiglie in emergenza abitativa una casa di qualità, sostenibile in termini energetici; di investimenti per potenziare il diritto allo studio, contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa; di utilizzare i fondi stanziati dal NGEU per promuovere la riconversione ecologica, non la transizione, in maniera pianificata, inclusiva, equa e partecipata, socializzando le infrastrutture strategiche tra paesi e municipi, utilizzando come leve per portarla avanti investimenti pubblici, lavoro di cittadinanza e attività di riproduzione socio-ecologica.

Queste sono le proposte che centinaia di realtà sociali impegnate quotidianamente contro disuguaglianze e mafie condividono e mettono a disposizione del paese e delle istituzioni per sconfiggere le crisi.

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