Capitalismo, diseguaglianza e instabilità

La crescita delle diseguaglianze, reddituali, patrimoniali, sociali è talmente evidente ed estesa, fra e nei Paesi, che non mancano analisi e approfondimenti sulla materia. Argomento che dovrebbe essere caro alla sinistra, visto che l’uguaglianza, come già osservava Norberto Bobbio nel suo famoso e fortunato pamphlet degli anni Novanta, è il più importante discrimine tra destra e sinistra. Del resto non occorre citare Marx o l’Engels de La condizione della classe operaia in Inghilterra per mostrare come la diseguaglianza sia un fattore intrinseco alla natura del capitalismo. Ad esempio Keynes, in apertura del 24° e ultimo capitolo della Teoria generale, scrive che «i difetti economici più evidenti della società in cui viviamo sono l’incapacità di assicurare la piena occupazione e la sua arbitraria e iniqua distribuzione della ricchezza e dei redditi».

Nel suo ultimo libro – Ricchi e poveri. Storia della diseguaglianza, Einaudi, 2021 – Pierluigi Ciocca si sofferma sul secondo dei due aspetti, tracciando, con efficaci pennellate, una sintetica storia delle diseguaglianze tra e nei Paesi del mondo attraverso i secoli e i diversi modelli di produzione e di società. Tale percorso non ha seguito sempre un andamento crescente, ma ai giorni nostri è risalita tanto la quota del centile superiore dei redditi (più negli Usa che in Europa), come quella relativa ai patrimoni, mentre la diseguaglianza si è estesa in diverse situazioni anche in Asia (Cina, India, Indonesia, Bangladesh) e in Africa (Ghana, Nigeria, Costa d’Avorio, Kenya), rimanendo elevatissima in America Latina. «Sul fronte della riduzione della povertà si sono compiuti, soprattutto nelle economie avanzate, progressi solo rari e modesti» scrive Ciocca. Ma la situazione è ancora peggiore, se la si guarda nel nostro Paese, come ci hanno ricordato il ventesimo rapporto della Caritas e i diversi articoli di Linda Laura Sabbadini. L’unica modesta diminuzione della povertà assoluta è avvenuta nel 2019 in seguito all’introduzione del reddito di cittadinanza, che dunque bisognerebbe rimpolpare ed estendere e non sottoporre ad assurdi vincoli. Ma, nel complesso, la povertà assoluta nel nostro Paese è raddoppiata dal 2012 e triplicata fra i minori che rappresentano, con un milione e 300mila, la parte della popolazione più colpita dalla miseria.

A livello globale dopo il 1990 la diseguaglianza dei redditi fra i Paesi è diminuita, dopo più di un secolo di incremento, ma questo è dovuto al calo dello scarto di reddito pro-capite di Cina e India rispetto ai paesi a capitalismo maturo. I divari di reddito pro-capite restano comunque elevatissimi. Il Fmi nel 2018 stimava che rispetto a quello degli Stati uniti il reddito pro-capite era il 70% nell’Eurozona, nel Regno unito e nel Giappone, il 46% in Russia, il 30% in Cina, l’11% in India, il 3% in America Latina e al di sotto dell’1% nell’Africa subsahariana.

Nel contempo la diseguaglianza dei redditi nei Paesi è aumentata parecchio, dopo una riduzione dagli inizi del Novecento. Se nei primi anni Ottanta in area Ocse il livello medio del reddito del 10% più agiato era in un rapporto di 7 a 1 rispetto al decile più povero, nel 2010 il rapporto è salito a 9 a 1, con una crescita sensibile delle differenze interne in Cina, in India e in Russia. È cresciuta anche la diseguaglianza dei patrimoni che si situa addirittura al livello di 0,9 dell’indice Gini (quasi il suo massimo) in Olanda, Russia, Usa e persino in Svezia.

Che fare quindi? Ciocca aggredisce, demolendole, le giustificazioni della diseguaglianza, che riassume in tre questioni nodali. In primo luogo confuta la teoria per cui la diseguaglianza non sarebbe un problema dal momento che in un’economia di mercato le retribuzioni non potrebbero che riflettere la domanda del servizio alla produzione, ove la domanda sarebbe legata alla produttività marginale del servizio. In secondo luogo nega che la crescita dell’economia postuli il risparmio, per cui il travaso di risorse dai ricchi ai poveri minerebbe la crescita, rifacendosi a Keynes per il quale l’investimento precede e genera il risparmio, non dipendendo la ricchezza dalla parsimonia dei ricchi, venendo quindi «a cadere una delle principali giustificazioni sociali delle grandi diseguaglianze». In terzo luogo è ridicola la convinzione che le alte remunerazioni renderebbero più efficiente il lavoro dei manager, specialmente quando negli Usa da un rapporto di 20 a 1 si è passati a 354 a 1 rispetto al salario dei dipendenti, senza evitare i rovesci ben noti.

Le diseguaglianze non possono misurarsi solo in dati materiali, come avverte lo stesso Ciocca richiamando i lavori della Commissione guidata da Stiglitz, Sen e Fitoussi che ha criticato il feticcio del Pil, sostenendo la necessità di nuovi indicatori di benessere, con al primo posto la questione ambientale. Argomento su cui gli stessi sono tornati, a fronte delle attuali crisi sanitarie e ambientali, in un recente libro (Stiglitz, Fitoussi, Durand Misurare ciò che conta, Einaudi, 2021). L’importanza della questione del tempo e del suo uso emerge anche dal fatto che negli Usa e persino nella Ue sono in parecchi, quando possono, a non tornare al vecchio lavoro dopo la fase più acuta della pandemia. Ma allora la semplice risposta della crescita non tiene.

Ciocca ha detto che questa non è crescita ma rimbalzo dopo la precipitazione dell’anno scorso. Giusto, ma tutto deve tornare come prima? Hyman Minsky ha insistito sulla instabilità strutturale del capitalismo finanziario. Le stesse politiche di intervento pubblico – scrisse Augusto Graziani nel 1984, chiosando il pensiero dell’economista americano – «invece di rimettere ogni cosa a posto, hanno prodotto il tanto discusso miscuglio di disoccupazione e di inflazione». E qui in effetti siamo. Ma allora si può rispondere a Ciocca, quando mette in discussione la solidità delle alternative fin qui prospettate al capitalismo, che vale la pena di cercare ancora. Lo dimostra proprio la drammaticità della situazione, peggiorata dalla pandemia, descritta dai dati, le cifre e le analisi che l’ex vicedirettore generale della Banca d’Italia ha voluto inserire in questo suo ultimo lavoro.

Capitalismo, diseguaglianza e instabilità

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