Questo mese lavialibera vi propone, per la sua newsletter di approfondimento Le città invisibili, un testo selezionato dal libro Teneri assassini di Isaia Sales, edito da Marotta&Cafiero editori
Molti giovanissimi dei quartieri “bassi” della città di Napoli e delle sue periferie percepiscono la violenza come una particolare lotta di classe. “Noi veniamo da zone povere della città, quella sera ci siamo fatti un giro nella zona degli chalet di Mergellina, poi al Vomero, quando quelli ci hanno guardati, è stato istintivo fermarci, ce la siamo presa con loro, sono quelli più fortunati.” Così parla un minore autore di un accoltellamento di due suoi coetanei davanti a un bar. I casi sono ormai tanti in ogni parte della città e del suo hinterland. Gli assalti avvengono per strada, davanti alla metropolitana, o davanti ai baretti di Mergellina, di Ghiaia o di altri luoghi della movida. Sembra una lotta di classe combattuta con il sopruso e la prevaricazione. Nelle periferie delle città europee, e in parte anche di quelle nordamericane, alla base della violenza dei giovanissimi ci sono come luoghi i quartieri-ghetto e come motivazione l’odio per i padri immigrati che non si sono ribellati al ruolo di schiavi che la società ospitante gli ha riservato. È un segnale di fallimento dell’integrazione. A Napoli, invece, funziona l’integrazione criminale.
Il retroterra sociale: famiglie e quartieri
Quando si leggono i dati sul rapporto strettissimo tra tassi di disoccupazione, tassi di abbandono scolastico, precedenti penali nel nucleo familiare e tassi di criminalità minorile, non si può che restare impressionati da una cosi implacabile connessione. I dati ci dicono che è possibile prevedere in largo anticipo in quali quartieri, in quali rioni, in quali scuole (pochissimo frequentate), in quali famiglie, in quali classi di età si formeranno i futuri ospiti degli istituti di pena minorili e successivamente delle carceri per adulti. Si può fare una previsione del tutto attendibile sui tassi di recidiva: è accertato che tra quelli che saranno arrestati o fermati da minorenni (per furti, scippi, rapine, spaccio di droga, risse, possesso d’armi) almeno la metà finirà nelle carceri per adulti per gli stessi reati, aggiungendo a essi l’omicidio e la partecipazione a un clan di camorra. Tutto ciò non ha niente a che fare con il fatalismo, con il destino, con i geni criminali nel sangue, ma con una reciprocità di influenza tra condizioni sociali, economiche, culturali (cioè tassi di istruzione e di opportunità legali) e carriere criminali. Se le condizioni sociali in cui vivono e si formano migliaia e migliaia di persone non vengono affrontate, esse si riverseranno contro il resto della società.
La recidiva è una parola che ritorna spesso quando si tratta del problema dei minorenni napoletani. Su questo problema sono state svolte delle specifiche ricerche da parte di alcune università che meritano una approfondita riflessione, in particolare una svolta per la Commissione parlamentare antimafia dal centro di ricerca Res Incorrupta dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, l’altra dall’Università Federico Il.
Nella ricerca del Suor Orsola è stato riscontrato il 41,6% di recidiva da adulti per i minori messi alla prova rispetto al 22% del resto d’Italia. Cioè anche quei ragazzi che avevano conseguito con successo una particolare esperienza di istruzione o di apprendimento di un mestiere che per un periodo li aveva allontanati dalla vita precedente, da adulti hanno ripreso la frequentazione dei circuiti delinquenziali. La scuola nelle attuali condizioni non è per essi attraente e su di essa non costruiscono un’ipotesi di vita e di lavoro. Le loro famiglie sono quasi sempre disgregate: i genitori sono ben più giovani rispetto alla italiana e con più figli, hanno una scolarità molto bassa, le madri sono disoccupate e i padri hanno lavori saltuari o quasi sempre non professionali.
L’acculturazione illegale e criminale comincia dalla famiglia e il ruolo del gruppo amicale appare centrale anche per la commissione degli atti criminali. È una emergenza che è e rimane sociale e non giudiziaria. I quartieri generalmente ritenuti più problematici in termini di criminalità organizzata si confermano anche con questa ricerca un vivaio per la camorra: Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio, Avvocata, Montecalvario e Mercato; Stella e San Carlo all’Arena; Chiaiano, Piscinola e Scampia sono i luoghi in cui maggiormente vivono i minorenni oggetto dello studio.
Leggiamo le conclusioni: “Probabilmente occorrerebbe utilizzare innovativi strumenti che possano garantire un accompagnamento costante e continuato ai minorenni in ambienti di mafia, fin da piccolissimi e prima ancora che commettano di una alternativa in termini concreti alla devianza”.