Zona grigia, dove si incontrano mafie, affari e politica

Un mondo di mezzo composto da politici, imprenditori, professionisti e amministratori: la zona grigia offre competenze alle organizzazioni criminali e trae vantaggi. Un fenomeno al centro di molte inchieste nel Nord

Emanuele Frijio – Studente di Scienze psicosociali della comunicazione Milano Bicocca – 10 dicembre 2020 Lavialibera

Medicina, psicologia, diritto, neuroscienze, studio dei conflitti: ormai il termine “zona grigia” coinvolge molte discipline. È usato per riferirsi a un particolare aspetto della pandemia di Covid-19: le zone grigie negli ospedali indicano dei reparti cuscinetto dove i pazienti vengono trattati come se affetti dalla malattia in attesa che le verifiche terminino. È diventata anche una categoria storiografica per identificare tutti coloro che dopo l’8 settembre del 1943 hanno assistito alla guerra senza schierarsi né con la Repubblica di Salò né con i partigiani. Il termine, in sostanza, si riferisce a un mondo di mezzo tra due poli: tra malati e sani, tra fascisti e partigiani. Mondo di mezzo: un’espressione che ci porta alla più famosa inchiesta sulla zona grigia recentemente realizzata in Italia. Ma andiamo con ordine.

Zona grigia: alcuni cenni storici

È stato Primo Levi a rendere popolare il termine zona grigia nel saggio “I sommersi e i salvati”: “Da molti segni, pare sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (e non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori”. Levi prosegue indicando una zona “dai contorni mal definiti, che insieme separa e congiunge i due campi dei padroni e dei servi”. Ciò che ha reso il saggio un punto di riferimento anche nello studio delle mafie è l’analisi della proteckja, ovvero la corruzione. Nella sua esperienza dei lager nazisti, Levi sostiene che la zona grigia era composta da prigionieri che erano stati caricati di colpe e compromessi il più possibile “così avranno contratto coi mandanti il vincolo della correità, e non potranno più tornare indietro. Questo modo di agire è noto alle associazioni criminali di tutti i tempi e luoghi, è praticato da sempre dalla mafia”.

C’è da dire che già quattro anni prima del saggio di Levi, nel 1982, il commissario di Polizia di Palermo Ninni Cassarà scriveva sul Rapporto Michele Greco: “La potenza dell’organizzazione mafiosa non deriva dal numero e dalla qualità dei vari associati ma soprattutto dalle ramificate commistioni che essa è riuscita a realizzare col tessuto connettivo sociale ed economico fondendosi con esso e conseguendo, sulla base di tale orrido incesto, la disponibilità di una vastissima e indefinibile ‘zona grigia’”.

La borghesia mafiosa

Non solo Cassarà aveva indicato chiaramente nel contesto sociale ed economico la forza e le possibilità di sviluppo della mafia. Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, ha introdotto il termine borghesia mafiosa (nonostante affermi che ci sia una grande differenza tra i due concetti) per riconoscere un particolare sistema relazionale entro cui si muove la criminalità, ovvero quello dell’imprenditoria, della politica e dei liberi professionisti, che le garantisce potere.

Zona grigia e mafia

Come sosteneva Levi, neanche in relazione alle mafie la zona grigia è un chiaro e definito mondo di mezzo. Come vedremo, le condotte e i profili di chi la popola sono vari e ciò rende difficile sia delimitare questa dimensione ma anche capire chi la compone. Non solo. Il concetto stesso assume diverse sfumature a seconda degli esperti che lo utilizzano. Ad esempio, per il sociologo Rocco Sciarrone, professore dell’Università di Torino, l’area grigia è un meccanismo di regolazione che esiste a prescindere dalla mafia; un sistema “dai confini mobili ma con una sua consistenza interna, in termini di pratiche, norme, modelli di comportamento e orientamenti”. Per il sociologo Maurizio Catino, professore dell’Università di Milano-Bicocca, invece, è la mafia a generare direttamente la zona grigia, intesa come una rete di complicità attorno alle condotte criminali. Questa visione si basa sull’idea che la mafia, avendo bisogno di competenze professionali assenti al suo interno, le cerchi al di fuori, ovvero tra i colletti bianchi.

Tra lecito e illecito

Prima di tutto questo, però, bisogna chiedersi il perché della sua esistenza. Al di là della prospettiva legislativa e dei vuoti normativi che sicuramente danno il loro contributo, la varietà delle condotte all’interno della zona grigia testimoniano un chiaro problema che affligge l’Italia. Allargando il campo di osservazione e considerando l’intera economia non osservata (che comprende sia quella illegale, produzione e vendita di beni proibiti dalla legge, sia quella sommersa, lavori in nero, distorsione del fatturato reale e così via) si nota come questa abbia un’incidenza sul Pil dell’11,9%. Questo dato si può spiegare attraverso due ipotesi. Innanzitutto, si osserva un’ampia diffusione di condotte che mirano al raggiungimento di esigenze personali, anche a danno del bene pubblico.

Con specifico riferimento alla mafia, proprio la ricerca del raggiungimento dei propri obiettivi può essere un incentivo al persistere e riprodursi di zone grigie. Inoltre, esistono sistemi di regolazione che prevedono dinamiche informali e, talvolta, evidenti discrepanze tra ciò che è socialmente accettato ma illegale e viceversa. Questa discrepanza diventa emblematica nell’inchiesta “Mondo di mezzo”, dove la Cassazione non ha ritenuto che i reati fossero stati commessi con l’aggravante mafiosa. D’altra parte, i livelli di collusione emersi tra pubblica amministrazione di Roma e alcune aziende riconducibili a Massimo Carminati Salvatore Buzzi descrivono perfettamente il funzionamento e i meccanismi della zona grigia.

Gli scheletri nell’armadio

La legittimità di cui godono questi comportamenti è sfruttata dalle mafie, che rispetto alla stagione stragista e i decenni passati, fanno meno ricorso a metodi palesemente violenti. Non è raro che le mafie, fuori dai mercati illeciti, offrano le proprie “competenze di illegalità” a imprenditori e colletti bianchi, attivando con maggiore frequenza dinamiche di tipo corruttivo. Tali relazioni che il sociologo Rocco Sciarrone definisce “a somma zero”, ovvero che producono interessi per tutti i partecipanti all’accordo, non implicano violenza e pongono sullo stesso livello corrotto e corrompente. In altre parole, il politico, l’imprenditore o l’amministratore pubblico coinvolto in uno scambio sarà poco indotto a denunciare: è ciò che Primo Levi definiva “scheletri nell’armadio”. Il mancato utilizzo della violenza porta due grandi vantaggi alle mafie. In primo luogo, si produce l’effetto “sommersione”, apertamente teorizzato da Bernardo Provenzano, che genera minore allarme sociale e rende le organizzazioni criminali più difficili da individuare. Inoltre, l’assenza o ridimensionamento della violenza esplicita alimenta quella “normalizzazione” che anche gli ultimi sondaggi Demos sembrano comprovare.

Le condotte dei colletti bianchi

Tuttavia, zona grigia non corrisponde solo a corruzione. Schematizzando, si potrebbe disporre la condotta di coloro che compongono la zona grigia su una linea, collocando all’estremo finale quei comportamenti direttamente finalizzati a favorire le mafie, corruzione compresa. A un livello inferiore ci sarebbero tutti quei comportamenti che, direttamente o indirettamente, favoriscono le mafie ma che non costituiscono un reato. Tutto questo, però, è reso possibile solo da quella che abbiamo definito “normalizzazione”. È ciò che concede alle organizzazioni criminali e ad altri reati, come l’evasione fiscale, l’approvazione da parte della società. Tali comportamenti non sono tutti penalmente rilevanti, ed è per questo che in alcuni casi potrebbero risultare più efficaci interventi strutturali sui meccanismi di mercato e sulle regole di trasparenza. In una parola, sulla prevenzione.

Liberi professionisti, imprenditori e politici

Una volta specificate le condotte, non ci resta che chiederci: chi compone la zona grigia? Principalmente liberi professionisti, imprenditori e politici. Più in generale coloro che si avvantaggiano dal collocarsi in zone di confine, tra legale e illegale. L’inchiesta Minotauro del 2011 ha dimostrato non solo il radicamento mafioso in aree non tradizionali, come in Piemonte, ma anche la presenza di rapporti con politici di primo piano a livello comunale.

Il processo Aemilia, invece, rivela come il rapporto mafia-zona grigia sia un rapporto di mutuo scambio. Non sono solo i mafiosi a “chiedere” favori ai colletti bianchi; anzi, è in aumento il fenomeno contrario, per cui si utilizza la mafia per raggiungere i propri obiettivi politico-finanziari. Ne è un esempio il caso di un imprenditore emiliano che “sentendosi truffato nel versamento anticipato di una tangente di 1,3 milioni di euro finalizzata a vincere una gara d’appalto in Lombardia, si è affidato a un gruppo ‘ndranghetista per sciogliere a proprio favore – con i metodi spicci tipici del gruppo criminale – la controversia che ne era scaturita.”

Le nuove mafie al Nord

Come abbiamo già ricordato, l’operazione Minotauro ha permesso di comprendere il radicamento delle mafie in Piemonte. Proprio il Piemonte ha una lunga tradizione mafiosa: infatti, il primo comune sciolto per associazione mafiosa nel Nord Italia è quello di Bardonecchia, in provincia di Torino, nel 1995. Ci sono voluti 18 anni, invece, per trovare il primo comune sciolto in Lombardia, a Sedriano, in provincia di Milano. Qui le operazioni antimafia si sono susseguite nel corso del tempo: Cerberus, Isola, Infinito, Insubria, Mar Ionio, Lex, Provvidenza, Area 51 e così via. Tutte hanno portato l’evidenza di una commistione tra politica, imprenditoria, pubblica amministrazione e mafie.

Nell’inchiesta Infinito è stato condannato … [CONTINUA A LEGGERE SU Lavialibera]

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