Migranti, il governo Meloni vuole aggiungere nuovi ostacoli a quelli già presenti

Più di 400 persone a bordo di due navi per il soccorso in mare stanno aspettando di sapere se possono entrare in acque territoriali. Dal Viminale, il ministro Piantedosi valuta il divieto d’ingresso. Secondo il dossier statistico sull’immigrazione, il Mar Mediterraneo si conferma la rotta più fatale al mondo, con 25mila persone morte o disperse dal 2014

27 ottobre 2022 – Natalie Sclippa – Redattrice lavialibera

Si ricomincia: il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, appena insediato al Viminale con il governo Meloni, sta valutando il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane di due navi per il soccorso in mare, Ocean Viking e Humanity 1. Secondo il ministero, le imbarcazioni non sono “in linea con lo spirito delle norme europee e italiane in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto all’immigrazione illegale”. Intanto, a bordo della Ocean Viking, nave della ong Sos Mediterranee e sulla Humanity 1 della ong Sos Humanity ci sono più di 400 persone. Nonostante una politica di respingimenti che non coinvolge solo l’Italia ma tutta l’Unione europea, quella che passa per il Mediterraneo è la rotta più utilizzata per arrivare nel vecchio continente e “il luogo di migrazione più fatale al mondo”. Secondo il Dossier statistico sull’immigrazione 2022, presentato oggi dal centro studi e ricerche Idos, dal 2014 al 2022 sono 25mila le persone morte o disperse.

Fermare le persone

“Questo governo – ha detto  la premier Giorgia Meloni durante il discorso per chiedere la fiducia alla Camera – vuole perseguire una strada, poco percorsa fino a oggi: fermare le partenze illegali, spezzando finalmente il traffico di essere umani nel Mediterraneo”. Per sottolineare il metodo che propone di utilizzare, ha fatto subito un esempio pratico: “Se non volete che si parli di blocco navale, lo dirò così: è nostra intenzione recuperare la proposta originaria della missione navale Sophia dell’Unione europea che nella terza fase prevista, anche se mai attuata, prevedeva proprio il blocco delle partenze dei barconi dal Nord Africa”. L’attuazione di questo piano si otterrebbe attraverso accordi diretti con le autorità nordafricane, concordate prima a Bruxelles.

Lo scopo dichiarato dell’operazione Sophia, che nel 2015 ha affiancato la missione europea Triton, era uno: il contrasto della criminalità organizzata dei trafficanti di esseri umani, creando collaborazioni con i Paesi terzi per arginare gli arrivi in Europa. Un modo, per gli stati Ue, di sottrarsi ed esternalizzare le responsabilità per il soccorso in mare, creando un vuoto poi riempito dagli interventi delle flotte civili. La fase tre a cui si riferisce Meloni sarebbe volta a “neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai contrabbandieri e trafficanti sia in mare che a terra e quindi contribuire agli sforzi internazionali per scoraggiare gli stessi contrabbandieri nell’impegnarsi in ulteriori attività criminali”, ma non è mai iniziata, visto che l’operazione si è conclusa il 31 marzo 2020.

La criminalizzazione non blocca i flussi di migranti

I controlli più stringenti non fermano le persone dal tentare la traversata. I dati Idos lo confermano. Nel 2021 l’immigrazione irregolare è risalita ai livelli pre-pandemici, con quasi 200mila ingressi, un dato che registra un aumento del 57 per cento rispetto al 2020 e del 38 per cento rispetto al 2019. In tutto, dal 2014 ad agosto 2022, sono arrivate in Europa 2,3 milioni di persone, con una progressiva diminuzione degli ultimi anni rispetto al picco di ingressi del 2015, che ha avuto come conseguenza principale la stipula del memorandum Italia-Libia nel febbraio 2017. Tra il 2015 e il 2020 l’accordo ha fatto sì che si contraesse di quattro volte l’afflusso, ma che ha messo in luce le violente pratiche della guardia costiera libica e le condizioni disumane vissute all’interno dei lager.

Come ricorda all’interno del dossier Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, “meno sbarchi non significa meno morti”. Stando ai dati dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr), i numeri sono alti: nel 2021 sono morti o dispersi 3.231 esseri umani, nel 2020 corrispondeva a 1.881, l’anno prima a 1.510 e nel 2018 raggiungevano i 2.277.

Altre rotte, stessi problemi

I percorsi principali di immigrazione verso l’Ue rimangono quello del Mediterraneo centrale, con quasi 68mila sbarchi, seguito dalla rotta balcanica, percorsa da più di 60mila donne, uomini e bambini. Secondo l’agenzia Frontex, nei primi quattro mesi del 2022, il numero di chi si è incamminato su questa seconda direzione è aumentato del 138 per cento rispetto all’anno precedente e del 387 per cento se riferiti al 2019. Al centro del flusso c’è la Serbia, dove, tra arrivi da Est e respingimenti della polizia croata, tra gennaio e giugno scorsi si è registrata l’entrata di 22.466 migranti. Ma il governo di Zagabria non è l’unico a spingere sui cosiddetti pushback. La Bulgaria ha costruito 235 chilometri di barriere, con l’utilizzo anche di sensori e telecamere e i respingimenti sono effettuati da organizzazioni paramilitari ultranazionaliste.

C’è poi la Bosnia Erzegovina, che ha visto un mutamento dei flussi, dovuti alla diversificazione dei percorsi e ai respingimenti fatti in altri Paesi. Nei primi sei mesi del 2022, i migranti registrati sono stati circa ottomila. Il paradosso arriva dal campo di Lipa, costato tre milioni di euro e che, secondo il Courrier des Balkans, ospitava a giugno solo 300 persone. Il grande campo profughi aveva preso fuoco il 23 dicembre 2020 e da allora mancavano gli allacciamenti elettrici e fognari, poi ripristinati con un intervento da un milione di euro. Ma la posizione decentrata e i problemi di accesso ai servizi minimi hanno trasformato il campo in un fallimento.

Emergenza profughi e poi il vuoto

Prima il ritorno dei talebani al potere in Afghanistan dell’agosto 2021, poi l’aggressione russa dell’Ucraina a febbraio 2022: i due eventi, molto distanti geograficamente e politicamente, hanno avuto una conseguenza comune, cioè l’esodo di migliaia di persone verso l’Europa. Se per il caso afghano, la scintilla di solidarietà si è spenta in pochi mesi e ha lasciato il posto a blocchi e respingimenti, la crisi ucraina ha innescato invece un moto diverso, con l’attivazione all’unanimità della direttiva europea 55/2001 sulla “Protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati” che ha permesso l’arrivo di un milione di profughi già dopo una settimana.

A fine agosto se ne contavano sette milioni, ma con altri cinque milioni bloccati direttamente alla frontiera ucraina, perché non residenti permanenti. Stranieri in un Paese in guerra che, di fatto, li ha fatti diventare “profughi di serie B”. Con anche un effetto: chi riesce a passare ottiene la libertà di movimento in tutta l’Ue, con la possibilità che i Paesi di primo arrivo – tra tutti Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania – scarichino sugli altri gli oneri dell’accoglienza.

Quanti sono i profughi e richiedenti asilo nell’Unione europea

Tre milioni e mezzo di rifugiati e richiedenti asilo da 140 Paesi vivono nell’Unione europea. Di questi circa un milione e mezzo vive in Germania e 500mila in Francia. Provengono principalmente da Siria, Afghanistan, Iraq, Pakistan e Turchia. Le domande presentate sono più di 630mila e una su tre è per un minorenne. Di questi, più di 23mila ragazzi è un minore non accompagnato. In Italia ne sono arrivati 1.495. Nei primi cinque mesi del 2022, a causa della guerra, sono state presentate 300mila richieste di asilo. Altro fronte sono le effettive concessioni: nel 2021 sono state 274.145. Le decisioni positive hanno riguardato soprattutto siriani, afghani e venezuelani.

La situazione in Italia

Non ci sono dati ufficiali sul numero dei richiedenti asilo che arrivano in Italia. I numeri in possesso del ministero dell’Interno, infatti, riguardano solo il totale delle persone sbarcate. Questo tipo di ricerca ha insiti già due problemi: non tutti, una volta approdati sulla Penisola fanno domanda per questo tipo di protezione e, d’altro canto, non tutti arrivano via mare. Gli unici dati, in ogni caso indicativi, provengono dai Sai (Sistema asilo e integrazione): quasi il 70 per cento arrivano in modo irregolare sulle nostre coste.Nel 2021, l’11,5 per cento ha attraversato il confine di Slovenia, Francia e Austria. Numeri in calo del 36 per cento rispetto al 2019, quando l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, ora a capo del dicastero delle Infrastrutture, lanciò la politica dei cosiddetti “porti chiusi”. Christopher Hein, professore dell’Università Luiss di Roma, nel dossier sintetizza: “L’argomento spesso sentito che il numero di sbarchi sia aumentato dopo il periodo del primo governo Conte è fuorviante: i flussi del 2019 si sono spostati dal mare alle vie terrestri”.

Esistono anche programmi di corridoi umanitari promossi da una serie di associazioni che hanno permesso a 4.500 persone in cinque anni (dal 2016 a luglio 2022) di arrivare in Italia. Nel primo semestre del 2022… [CONTINUA A LEGGERE SU Lavialibera]

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